La scienza del Medioevo nell’astrolabio di Verona

Nell’immaginario collettivo, il Medioevo è visto come un’epoca di intolleranza e conflitti religiosi, ma l’archeologia ci racconta una storia diversa, almeno in parte. L’ultima testimonianza in tal senso è arrivata da un astrolabio islamico conservato dalla Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo di Verona, la cui analisi ha svelato l’esistenza di un proficuo scambio di conoscenze scientifiche tra ebrei, musulmani e cristiani durato molti secoli. 

Esame dettagliato. Noto come “astrolabio di Verona”, l’oggetto in questione risale all’XI secolo ed è uno dei più antichi del suo genere. Già da diversi anni (a partire dal 2020) era stato studiato da parte del personale del Museo, ma non si era arrivati a uno studio completo su di esso. Fino a oggi, quando Federica Gigante, ricercatrice del Christ’s College di Cambridge, ne ha svelato i segreti conducendo uno studio pubblicato sulla rivista Nuncius. Incuriosita da un’immagine caricata sulla pagina web del museo, la storica ha avviato un esame approfondito del manufatto, analizzandone ogni singolo aspetto e partendo dalla forma e dalle iscrizioni. Alcuni indizi hanno rivelato che l’astrolabio fu forgiato nella Spagna musulmana, molto probabilmente nella regione di Toledo, nota all’epoca per una folta presenza di ebrei e cristiani accanto alla popolazione islamica.

Smartphone ante-litteram. Ideati già nell’antichità, gli astrolabi sono dei complessi strumenti meccanici costruiti per determinare la posizione delle stelle nel cielo misurando l’altitudine di un corpo celeste sopra l’orizzonte. Prima della comparsa del sestante, nato proprio per questo scopo, essi svolgevano una molteplicità di funzioni, un po’ come fanno oggi i moderni smartphone: oltre a essere usati per studi astronomici e astrologici, erano utili anche per la navigazione terrestre, nonché per tenere traccia delle stagioni, delle maree e dell’ora del giorno. Per gli islamici, quest’ultima funzione aveva anche una valenza religiosa, aiutando i fedeli a “monitorare” i tempi di preghiera quotidiana e accertando che essa fosse diretta verso la Mecca.

Di mano in mano. Ciò che rende unico il reperto sono proprio le iscrizioni: esaminandole da vicino, si è infatti notato che dietro i caratteri arabi erano presenti anche delle incisioni in lingua ebraica, circostanza che sottolinea come l’oggetto sia circolato tra le comunità giudaiche trasferitesi dopo la diaspora in Italia, dove l’arabo non era compreso. Non bastasse, sono state rilevate ulteriori traduzioni e correzioni sia in ebraico sia in una lingua europea occidentale. Nel corso del tempo, il manufatto subì insomma numerose modifiche, aggiunte e adattamenti via via che passava di mano e almeno tre suoi distinti proprietari sentirono l’esigenza di porvi delle modifiche, arricchendone i dettagli.

A detta della ricercatrice, queste peculiarità indicano un continuo dialogo tra le tre principali culture mediterranee, che favorì i progressi nella scienza nel corso del Medioevo. 

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