Resurrezione digitale: che cos’è?
Quanti di voi vorrebbero poter comunicare con un caro venuto a mancare? Probabilmente la maggior parte. Ma nel momento in cui la tecnologia ha offerto un modo per farlo, molti hanno cambiato parere. Stando ai partecipanti di un recente studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato sull’Asian Journal of Law and Economics, infatti, nella cosiddetta “resurrezione digitale” (o “clonazione digitale”) ci sarebbe qualcosa di terribilmente sbagliato, soprattutto se fatta senza il consenso del diretto interessato, ossia del defunto. Prima di approfondire i risultati della ricerca, però, occorre spiegare nel dettaglio di cosa stiamo parlando.
Finzione reale. Il metodo in questione consiste nella possibilità di scrivere per via telematica a una chatbot, che funziona allo stesso modo delle più note intelligenze artificiali generative (ChatGPT, Bard, Bing), ma con la differenza che, invece di addestrarla sul web, a essa viene dato in pasto tutto ciò che una persona scomparsa ha prodotto di digitale nella sua vita (chat, sms, messaggi vocali, e-mail, eccetera). In questo modo, il software può modellare il suo stile di scrittura su quello del defunto e rispondere ai messaggi in maniera simile a quanto egli faceva quando era in vita, usando le stesse “faccine”, commettendo gli stessi errori grammaticali e riproponendo persino le sue caratteristiche in tema di umorismo, sensibilità e gusti. In poche parole, si avrebbe l’impressione di chattarci, come se fosse ancora in vita.
Il sondaggio. Con la tecnologia attuale, far “risorgere” una persona diventa quindi un gioco da ragazzi. È qui che si inserisce lo studio di Masaki Iwasaki, docente dell’Università Nazionale di Seul, che ha condotto la sua ricerca su un campione di 222 statunitensi adulti di diversa età, livello di istruzione e background socioeconomico. Ai partecipanti è stato presentato uno scenario ipotetico in cui una donna ventenne era morta in un incidente stradale, e gli amici e i genitori della stessa stavano valutando l’idea di utilizzare l’AI per ricrearla come androide digitale. A metà dei partecipanti è stato detto che la ragazza non aveva espresso, in vita, il consenso a una eventualità del genere, mentre all’altra metà è stato comunicato il contrario. Ebbene, il 97% degli intervistati del primo gruppo ha ritenuto che sarebbe inappropriato resuscitarla digitalmente, mentre il 58% del secondo si è convinto che sia giusto farlo in presenza di un consenso scritto.
Le conclusioni. Quando la proposta si è però spostata sul personale, il campione coinvolto ha espresso una marcata riluttanza all’idea: il 59% del totale ha affermato che, nel proprio caso, non avrebbe dato il consenso a essere “resuscitato” all’interno di una chat, e addirittura il 40% ha ritenuto che sia socialmente inaccettabile in ogni caso, adducendo motivazioni etiche, religiose e psicologiche, e sottolineando l’importanza del processo di elaborazione del lutto.
Secondo lo studioso, il mondo non è dunque pronto per una prassi del genere, anche a causa di un diffuso pregiudizio riguardo a questa nuova tecnologia; tuttavia sarebbe importante non precludere la possibilità della clonazione digitale a coloro che manifestino un forte desiderio in tal senso.
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