Stiamo dando la caccia alle “sfere di Dyson”!
Le strade della ricerca di vita extraterrestre intelligente sono infinite. Una di queste è quella che porta gli astronomi a caccia di “tecnofirme”, ossia testimonianze tecnologiche di alieni. Tra queste, ultimamente, suscita molto interesse nella comunità scientifica la ricerca delle cosiddette “sfere di Dyson”.
Cosa sono? Si tratta di strutture tecnologiche (ipotetiche) che solo una civiltà altamente avanzata potrebbe realizzare. E per civiltà “avanzata” intendiamo una collettività che abbia un’abilità tecnologica quasi inimmaginabile rispetto alla nostra, così sofisticata da costruire una struttura di dimensioni tali da circondare un’intera stella allo scopo di catturarne l’energia. La nostra civiltà, pur concependole, non è in grado di produrle. Solo civiltà di Livello II nella scala Kardashev, che va da I a III, sono in grado di raggiungere una sviluppo tecnologico di questa portata.
Dati astronomici. Un gruppo di ricercatori proveniente da Svezia, India, Regno Unito e Stati Uniti ha sviluppato un modo per cercare le Sfere di Dyson nel contesto del Progetto Hephaistos (Efesto era il dio greco del fuoco e della metallurgia). Recentemente sono stati pubblicati i primi risultati della ricerca su Monthly Notices of the Royal Academy of Sciences.«In questo studio», spiega Matías Suazo, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Uppsala in Svezia, «presentiamo una ricerca delle sfere di Dyson analizzando le osservazioni ottiche e a infrarossi di Gaia, 2MASS e WISE». Si tratta di telescopi lanciati per altri motivi (essenzialmente astronomici) i cui dati sono stati analizzati anche nell’ottica della ricerca delle Sfere di Dyson.
Il metodo. Suazo ha preso in considerazione circa 5 milioni di sorgenti rilevate da questi telescopi per costruire un catalogo delle potenziali “sfere”. Quello che cercano di intercettare Suazo e il suo team sono emissioni nel medio infrarosso, emesse dalle strutture stesse, che si riscaldano per il calore della stella ed emettono energia verso il pianeta della civiltà in questione.
Margine di errore. Il problema è che non sono gli unici oggetti a emettere queste radiazioni, per esempio anche gli anelli di polvere circumstellari e le nebulose lo fanno. Anche galassie lontanissime possono emettere radiazioni infrarosse in eccesso e creare falsi positivi. «Per evitare d’incorrere in errori è stata sviluppata una metodologia concentrata sul rilevamento di fonti che mostrano eccessi infrarossi anomali, non attribuibili ad alcuna fonte naturale nota», spiegano i ricercatori.
Un lungo iter. Questo passaggio, però, è solo il primo di una serie: le potenziali Sfere di Dyson che si trovano da questa prima scrematura sono sottoposte a ulteriori processi per verificare che non siano strutture naturali.
Nell’ultimo tornata sono rimaste 368 fonti, di cui, 328 sono state eliminate perché non rispondono a tutti i requisiti, 29 sono risultate irregolari e 4 come “nebulose”. Rimangono così, solo sette potenziali sfere di Dyson su circa 5 milioni di oggetti iniziali.
Le “candidate” finali. Tra le sette candidate più plausibili, però, potrebbero esserci altri motivi per cui queste emettono infrarossi in eccesso. «La presenza di dischi di detriti caldi, per esempio, che circondano le nostre stelle candidate rimane una spiegazione valida per l’eccesso di infrarossi che si registrano», spiega lo scienziato.
Il dato positivo è che le stelle indicate sembrano essere stelle di tipo M (nane rosse) e i dischi di detriti attorno alle nane M sono molto rari, anche se un tipo di disco di detriti chiamato Extreme Debris Disks (EDD) potrebbe spiegare parte della luminosità che il team vede intorno a esse. A questo punto il gruppo di Suazo sostiene che per avere un’ulteriore conferma sono necessarie altre ricerche, come un’analisi delle emissioni di H-alfa, che potrebbe meglio spiegare le caratteristiche della stella in questione, scartando o avvalorando l’ipotesi che si tratti di una Sfera di Dyson.
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