Dal mito di Eracle alle arance di Gide. Forma perfetta per Munari, rimedio d’amore per Prevert. Il saggio di Giuseppe Barbera sull’incanto del frutto universale
Elsa Morante amava tre “M”. Erano le “emme” di mare, Mozart e mandarino. Il giorno della morte, l’attore teatrale Carlo Cecchi, suo caro amico, lasciò dei limoni sulla bara insieme a delle margherite selvatiche. Avevano condiviso uno “spicchio” di vita e per salutarsi avevano scelto un agrume. Si dice infatti sapore forte d’agrume e in latino gli agrumi sono “male aurea” che significa “mele d’oro”. Sono frutti dal latino fruor che equivale a “godere” ma anche “brug” (indoeuropeo) che è il sostantivo che indica “l’utilità”.
Dante, in Paradiso, XVII canto, scopre da Cacciaguida il suo destino d’esule e lo paragona a un agrume: “Ho io appreso quel che s’io ridico/ a molti fia sapor di forte agrume”. Agro e dolce, la buccia che suda cera, il colore e poi l’odore … nella storia dell’agrume c’è la dolcezza e la sciagura dell’uomo. Alla cognata, Tania, Antonio Gramsci, confinato a Ustica, chiedeva se la sua pianticella di limone fosse cresciuta: “Cara Tania, mandami notizie. Quanta è alta ormai? E’ vitale”. Gli agrumi hanno la forma perfetta, quella dei seni, e per il poeta francese Prévert tutto quello che un uomo può desiderare non è che “un’arancia sulla tavola/ il tuo vestito sul tappeto/ E nel mio letto tu/ Dolce dono del presente/ Freschezza della notte/ Calore della mia vita”.
Limoni, cedri, arance, mandarini, bergamotti sono le gemme dello scrigno, coralli e zaffiri dei nostri giardini e lo sono del Mediterraneo che è il “giardino delle civiltà”. E’ senza dubbio per questa ragione che gli agrumi si possono solo rubare, “strappare” (dall’albero). Eracle, per raggiungere l’immortalità, e che fatica!, li porta via agli dei. Sarà Poseidone a rivelargli il segreto. Deve recarsi presso il Giardino delle Esperidi ma non deve cogliergli con le sue mani. Atlante lo farà al posto suo. Con uno stratagemma Ercole si carica il mondo, ed Atlante, il giardiniere, coglie i “frutti d’oro”. Dopo quel furto le ninfe Egle, Aretusa ed Esperetusa “gemevano forte, celando la testa bionda dentro le candide mani” e si trasformano in alberi infruttiferi. Sono tantissimi i botanici che hanno scritto di agrumi ma è la prima volta che un botanico scrive di agrumi come fosse uno scrittore. Giuseppe Barbera in “Agrumi, una storia del Mondo” (Il Saggiatore) è come se lasciasse sulla carta bucce di intelligenza. Le lancia come faceva André Gide, nel 1902, a Sorrento. Lo scrittore francese era in visita e fece una scorpacciata di arance tanto da non ricordare “quanto ne mangiammo, né, ahimè, con quale rapimento. Dalla panca, quando gettavamo le bucce oltre la balaustrata, a qualche centinaio di metri più giù le scorgevamo cadere dirette nel mare”. Trasportate dalla Cina, spremute a Marrakech, sono le arance le regine degli agrumi e per Bruno Munari addirittura l’oggetto di industrial design perfetto perché “prodotti in grande serie”.
Sono perfetti nell’imballaggio (la buccia) si aprono in maniera semplice “senza istruzioni per l’uso”. Truman Capote, ad esempio, valutava i suoi racconti con un’arancia. Per capire la buona riuscita di un racconto, si deve provare “una sensazione di “assolutezza definitiva. Definitiva come un’arancia”. Vitamine e farmaci, contro lo scorbuto, gli agrumi sono oggi il passaporto internazionale, l’unico frutto che supera i blocchi. Più importante del G20 c’è solo il G Arancia. Sui mercati internazionali domina la Cina, ma in California hanno cominciato a coltivare quelle siciliane (da riprendere le fotografie di Ferdinando Scianna sulle “lave d’arance”) mentre in Australia hanno sviluppato il marchio “Dracula blood”. E’ poi c’è il Medioriente.
I loro fiori vengono chiamate zagare, il rimando è arabo (zahara). E’ il verbo della prosperità. Ci sono ancora dubbi che sia l’arancia la vera diplomazia internazionale? Ma l’arancia è anche “l’apparenza che rivela la sostanza” e dunque per Leonardo Sciascia non “occorre sbucciarla per sapere che è marcia”. Quando diventa “meccanica” precede la follia mentre ne Il Padrino, Don Vito Carleone capisce che è in pericolo quando (per ventinove volte) gli cadono le arance dalle mani. Mettete le bucce secche nei cassetti e la biancheria si impregnerà dell’odore. Vitaliano Brancati, ogni qual volta tornava in Sicilia, apriva il cassetto e annusava le bucce. Pensava agli affetti perduti. In Francia Paul Éluard ne prendeva invece una e gli sembrava di vedere la sua amata e tutto così finiva, rotondo come un agrume: “D’arance i tuoi capelli/là nel vuoto del mondo”.