Le drammatiche circostanze della morte di Andrea Papi, runner 26enne probabilmente – si attende l’esito dell’autopsia – aggredito e ucciso da un orso lungo i sentieri del monte Peller, tra la Val di Non e la Val di Sole (Trentino) hanno riportato le attenzioni delle cronache sulla questione della (talvolta difficile) convivenza tra uomo e orsi nelle nostre montagne. Come si spiegano questi eventi drammatici?
In difesa. Al di là della frequenza degli attacchi che è sicuramente bassa, è «importante ribadire che l’attacco di un orso è sempre un attacco difensivo» puntualizza Marco Antonelli, zoologo e naturalista, esperto del WWF. «L’orso non ci vede come una preda, ma può spaventarsi, difendere una risorsa, e ovviamente il contesto fa la differenza. Nella maggior parte dei casi a livello internazionale (nel 47% dei casi, ndr) sono femmine con i cuccioli ad attaccare: percepiscono un pericolo per la propria cucciolata e attaccano.
Altre situazioni sono quelle in cui l’orso si sta alimentando su una preda e viene disturbato dalla presenza umana: pensando che la sua fonte di cibo sia in pericolo difende la sua risorsa. Un’altra casistica abbastanza diffusa in letteratura è quella della presenza di cani non controllati (senza guinzaglio) in compagnia delle persone. Sembra che il cane possa andare incontro all’orso e disturbarlo, ma poi il cane ha una capacità di fuga diversa quindi poi l’attacco avviene verso l’uomo. Ovviamente in quest’ultimo, drammatico caso in Trentino non sappiamo ancora bene che cosa sia successo, ma è fondamentale che si agisca per diminuire le probabilità (già basse) di un attacco di questa gravità all’uomo».
Il primo attacco letale. In Italia nessuna aggressione da parte degli orsi aveva mai avuto esito letale: «Ovviamente aspettiamo ci sia l’ufficialità dell’esame autoptico», spiega Marco Antonelli a Focus.it, «ma se confermato, sarebbe sicuramente il primo episodio di attacco mortale in Italia. Anche questo è indicativo della frequenza di interazioni aggressive di questa gravità, che è bassissima. Ciò nonostante, interazioni aggressive di diverso tipo ci sono state in Trentino, dove la popolazione di orsi si è ricostituita da una ventina d’anni a partire da individui provenienti dalla Slovenia. Nella regione, in questi 20 anni ci sono stati solo altri 7 episodi di interazione aggressiva tra orso e uomo, e in nessuno di questi ci sono stati esiti molto gravi o letali. Si è trattato di circostanze che hanno fatto scalpore e hanno portato anche ad ordinanze di abbattimento da parte della Provincia, ma sono stati tutti episodi diversi da quello di cui parliamo oggi.
Quanti sono gli attacchi ogni anno? Secondo un lavoro su Scientific Reports condotto nel 2019 dagli scienziati delle Università di Oviedo (Spagna) e del Museo delle Scienze di Trento, che aveva affrontato la questione per l’orso bruno europeo (Ursus arctos), la specie che si trova in Trentino, la letteratura scientifica ha dati sufficienti per documentare 664 aggressioni di orsi tra il 2000 e il 2015 nei tre grandi blocchi geografici in cui vive questa specie: 183 episodi nell’area occidentale (Nord America), 291 in quella centrale (Europa) e 190 in quella orientale (Russia, Iran e Turchia).
Lo stesso lavoro ha stimato una frequenza globale di attacchi all’uomo in 39,6 all’anno, 18,2 dei quali avvengono in Europa: sarebbero 10 all’anno escludendo la Romania, dove la frequenza è più elevata (131 dei 291 episodi sono avvenuti qui) perché nel Paese l’orso viene cacciato. Nei 15 anni analizzati dallo studio, gli attacchi letali in Europa sono stati 19, il 6,6% del totale.
Quando avvengono le aggressioni? In generale, nella quasi totalità dei casi gli umani aggrediti sono adulti, solitamente soli (63% dei casi) e nella metà dei casi impegnati in attività ricreative (camminate, pesca, campeggio, corsa raccolta di frutti selvatici e funghi). Il 28% degli attacchi globali di orso bruno europeo riguarda persone impegnate a lavorare all’aperto (agricoltura, raccolta del legname, pastorizia) e il 22% cacciatori.
Perché tanti episodi in Trentino? Anche se gli orsi bruni tendono a modificare il proprio comportamento per evitare il contatto con l’uomo, eliminare del tutto questi incontri non è sempre possibile. Questa specie può incorrere in situazioni di conflitto con la nostra, tipicamente per episodi legati a danni alle proprietà (campi coltivati, bestiame). Gli attacchi diretti all’uomo sono molto rari e sembrano avvenire più facilmente nelle aree di recente espansione o reintroduzione degli orsi.
«Questo può dipendere dal fatto che nelle zone di recente reintroduzione c’è anche una minore conoscenza da parte delle persone dei comportamenti corretti da tenere in montagna. Le comunità montane nelle aree di presenza storica dell’orso sanno magari che in alcuni periodo dell’anno non bisogna portare cani o frequentare alcune zone, mentre nei luoghi in cui l’orso era sparito per decenni ed è stato riportato di recente, questa cultura storica potrebbe essersi persa» chiarisce Antonelli.
«Oltre a questo, il Trentino e altre aree dove avvengono aggressioni, sebbene presentino le condizioni ecologiche per la presenza dell’orso, sono anche aree ad elevata antropizzazione, con grande presenza di turismo, elevata capillarità di strade, sentieri e mulattiere.
Anche per un orso muoversi su questo territorio comporta probabilità più elevate di incontrare persone durante gli spostamenti».
Il caso della Romania. Altro discorso vale per Paesi in cui la caccia agli orsi sia legalmente possibile, come la Romania. Qui le aggressioni sono più frequenti perché «l’attività venatoria aumenta la probabilità di incontro con l’animale: bisognerebbe vedere se siano proprio i cacciatori i più soggetti alle aggressioni» continua Antonelli. «Altro dato correlato, in Romania o altri Paesi, è la presenza di carnai, zone dove si mette carne appositamente per attrarre gli orsi e cacciarli. Gli orsi si abituano a frequentare quotidianamente queste areee e ad avere fonti di cibo di origine antropica, perdono la naturale diffidenza verso l’umano e questo può portare a interazioni aggressive».
Come comportarsi per ridurre al minimo i rischi? «Anche se la casistica è bassa si verificano pur sempre alcuni episodi» conclude Antonelli «pertanto bisogna conoscere il comportamento corretto da tenere in montagna, e occorre che le istituzioni supportino campagne di comunicazione e formazione della cittadinanza con le buone pratiche di prevenzione» (ne abbiamo scritto qui).
«Ci sono comportamenti che possono portare a favorire interazioni aggressive, comportamenti sconsiderati di persone che si avvicinano per fare una foto, si frappongono tra la madre e i cuccioli o – ho visto diverse scene in Nord America – offrono cibo agli animali selvatici. Questo modo di agire favorisce l’avvicinamento dell’animale e la perdita della naturale diffidenza che l’orso ha per l’uomo. Mentre basta legarsi un campanello allo zaino o parlare a voce alta per far allontanare il 99,9% degli animali selvatici. Se siamo in una zona in cui può esserci il rischio di un incontro, questo può aiutare».