La matematica dell’infinito nella poesia latina

Il progetto latino-matematica. Baci innumerevoli … come i granelli di sabbia: la matematica dell’infinito nella poesia latina. Gaio Valerio Catullo (84 – 54 a,C.) Baci innumerevoli … come i granelli di sabbia (da Catullo ad Archimede): è uno dei paragrafi del saggio Per lo studio della cultura classica del filologo Leopoldo Gamberale in Essere e Divenire del “Classico”, UTET, 2006 (in Atti del Convegno Internazionale, Torino-Ivrea 21-22-23 ottobre 2003). Afferma il filologo che non è possibile capire a fondo taluni testi latini, se si trascurano i rapporti fra letteratura e scienza in essi presenti. Ciò vale, ad esempio, per due …

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L’infinito potere della sabbia

Che cosa ci ha salvato dalle ere glaciali, nasconde più vita della foresta amazzonica e muove un giro d’affari di 70 miliardi di dollari? Risposta: la sabbia. E che cosa ha fatto nascere la matematica, i computer, il vetro, il calcestruzzo e il nostro Pianeta? Sempre la sabbia. Questo materiale impalpabile, su cui ci sdraiamo d’estate, ci influenza più di quanto immaginiamo: «La sabbia è uno degli attori principali della vita sulla Terra», dice Michael Welland, geologo britannico.
«È trasportata dai venti, dalla gravità, dai fiumi e dalle correnti marine. Ogni secondo si generano miliardi di granelli di sabbia: ciascuno impiega secoli per viaggiare dalle montagne al mare, essere sepolto nei fondali e tornare in atmosfera con le eruzioni vulcaniche o la collisione delle placche tettoniche».

Minerali, conchiglie, corallli. La sabbia è composta da minerali (per lo più composti del silicio: quarzo, argilla, granito) sminuzzati dal vento, dal ghiaccio e dall’acqua.. Ma le sabbie possono essere fatte anche di conchiglie, lava vulcanica, coralli e… escrementi di pesci pappagallo: sono loro gli artefici delle bianche spiagge caraibiche. Questo pesce ha una sorta di becco con cui inghiotte i coralli in cerca di cibo: poi ne espelle i resti triturati, al ritmo di 1 kg l’anno. Per la scienza, in realtà, qualsiasi materiale fra 0,06 e 2 mm è definibile come sabbia: quindi anche lo zucchero, il sale o le sementi.
Ma la sabbia ha un’influenza globale. E ogni granello ha un’identità unica: si può risalire alle rocce da cui è originato. Nel 1944 i geologi statunitensi scoprirono la provenienza di alcune mongolfiere incendiarie grazie alla sabbia con cui erano zavorrate. Venivano da una località del Giappone, che fu poi bombardata.

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Oggi la sabbia è il materiale più usato ed estratto dopo l’acqua. Ogni anno se ne scavano 40 miliardi di tonnellate in tutto il mondo: ci si potrebbe costruire un muro alto come un palazzo di 9 piani e largo altrettanto, per tutto l’Equatore. Infatti la sabbia è l’ingrediente principale del calcestruzzo. La sabbia è usata per fare smalti, plastiche, dentifrici, creme solari, inchiostri. E chip per computer: il silicio è estratto da sabbia di quarzo pura al 99,99999%.
Arcipelaghi artificiali. Ecco perché la sabbia muove un business globale di 70 miliardi di dollari. Con effetti critici: causa il 10% delle emissioni di CO2 , contribuisce all’erosione delle coste e sottrae una risorsa naturale che non si rinnova. «La sabbia sepolta negli edifici e nell’asfalto non torna più in circolo», avverte l’Unep, Programma Onu per l’ambiente. Basta citare Dubai: ha raschiato 835 milioni di tonnellate di sabbia dai fondali del Golfo Persico per costruire gli arcipelaghi artificiali “le Palme” e “il Mondo”, con effetti ignoti sulla vita sottomarina. O Singapore, che si è ampliata del 20% grazie alla sabbia importata: i prelievi massivi hanno cancellato 24 isole indonesiane, aprendo tensioni politiche con la Malesia sui nuovi confini marittimi.

Come limitare il saccheggio di sabbia? «Usare calcinacci e vetro per le costruzioni di bassa qualità, o i residui degli inceneritori, che producono malte resistenti. È urgente regolare l’estrazione di sabbia, sia in terraferma (alzando le tariffe delle concessioni) sia nelle acque», avverte Pascal Peduzzi dell’Unep. In Italia gli fa eco Legambiente: sabbia e ghiaia sono il 62,5% dei materiali cavati ma «le pianificazioni delle Regioni sono scarse e le imposte agli estrattori ridicole».
Sulla Luna. Gli scienziati studiano le dinamiche della sabbia. La fisica dei sedimenti, infatti, è cruciale per prevedere le valanghe o gli smottamenti. I materiali granulari hanno una dinamica insospettabile: la sabbia secca si comporta come un liquido, quella umida come un solido. Ralph Bagnold – ufficiale britannico affascinato dal Sahara, da cui vide riemergere la Sfinge – dedicò la vita alle dune del deserto: all’Imperial College di Londra fece costruire una galleria del vento per studiarne il moto.
Il suo libro sulla fisica della sabbia (1941) è stato uno dei testi base delle missioni della Nasa sulla Luna e su Marte, dove è cruciale conoscere le dinamiche della sabbia per posizionare in sicurezza le navicelle spaziali. La sabbia ha comportamenti complessi: quando c’è vento, per esempio, un granello può sollevare in aria una superficie ampia più di 6 volte il suo diametro e 200 volte il suo peso; e queste collisioni generano cariche di elettricità statica che tengono i granelli vicini al terreno. Ricostruire la dinamica della sabbia è un rompicapo: quanti granelli, lasciati cadere su una pila, occorrono per provocarne il collasso? È uno degli obiettivi (ancora lontani) delle teorie del caos.

Già Archimede di Siracusa, oltre 2.200 anni fa, colse il legame fra sabbia e matematica: intitolò L’arenario un trattato sui grandi numeri. Per dimostrare che possono estendersi all’infinito, calcolò quanti granelli riempirebbero la sfera celeste: circa 1063. Difficile dire se avesse ragione, ma di fatto creò i numeri esponenziali. La sabbia, infatti, è l’immagine dell’infinito. Per questo, nei Caraibi, si usa lasciarne una pila davanti a casa: se arrivasse un vampiro, non resisterebbe alla tentazione di contarne i granelli e rimarrebbe bloccato tutta la notte.
Infinita. Per enumerare i granelli di un litro di sabbia (17 milioni), uno al secondo, occorrerebbero 3 mesi e mezzo. Ecco perché l’abaco, la prima calcolatrice, deriva dal fenicio abak, “sabbia”: era una tavoletta su cui si disponevano sabbia e sassi; forse lo 0 riproduce l’impronta di un sasso eliminato. Ed è nato sulla sabbia il codice a barre: nel 1952 l’ingegnere Usa Norman Woodland, cercando un sistema veloce per fare i conti alle casse, disegnò sulla sabbia l’alfabeto Morse: allungò in verticale i punti e le linee, e creò il nuovo codice. Con la sabbia si può fare arte: in Tibet i disegni sulla sabbia (mandala) guidano la meditazione; quando sono finiti sono distrutti, perché tutto è transitorio.

I fiumi sono le principali autostrade della sabbia: ogni anno portano nei mari 8 km3 di materiale, che riempirebbero mezzo miliardo di camion. Nelle zone ad alto rischio idrogeologico, i sedimenti possono causare tragedie, ma nessun computer può ricostruire la fisica dei granelli: per studiare il moto dei sedimenti, al laboratorio Anthony Falls di Minneapolis hanno costruito il “Juras – sic tank”, una vasca da bagno lunga 47 metri in cui fanno precipitare 200 tonnellate di sabbia, variando la pendenza e la superficie. Ma è difficile, anche ai più esperti, fare previsioni: nel 1944 la nave Usa Richard Montgomery risalì il Tamigi con un carico di bombe. La nave si incagliò nell’estuario, su un banco di sabbia a Sheerness, e fu abbandonata. È ancora lì, delimitata da boe, carica di 3.000 t di esplosivi: occorrerebbero 35 milioni di € e 18 mesi di lavoro per bonificarla.

Quando la sabbia trasportata dai fiumi arriva in mare, si può depositare sulle coste o finire nei fondali. Ma non tutte le spiagge si formano per accumulo di sabbia: altre sono dovute all’erosione delle coste, al deposito di lave vulcaniche, conchiglie, escrementi di pesce, coralli. L’arcipelago delle Bahamas, 132 mila km 2 , è una piattaforma carbonatica: una barriera corallina che venne a galla per l’abbassamento dei mari nel Mesozoico. Cotti dal Sole, i carbonati si sono trasformati in una roccia spessa 5 km. E dobbiamo ringraziare i calcari finiti negli oceani se il clima della Terra resta equilibrato. I calcari si formano quando le piogge acide si uniscono a sabbie di silicati di calcio. Se arrivano in acqua fredda, che li scioglie, i mari rilasciano CO 2 , che riscalda l’atmosfera; se invece sfociano in acque calde, i calcari si depositano nei fondali, portando con sé la CO 2. Èil ciclo silicio-carbonio, meccanismo con cui la Terra si raffredda quando la temperatura sale troppo e viceversa.
Le sabbie mobili. La sabbia può essere un collante: se riusciamo a costruire i castelli di sabbia è merito della tensione di superficie fra l’acqua e l’aria, che lega due granelli vicini. E questo spiega anche le sabbie mobili: si formano quando l’acqua separa i granelli fra loro ma non riesce a drenare, lasciando la sabbia in sospensione. Il risultato è un fragile equilibrio fra solido e liquido: se ci si muove veloci, il movimento impedisce la dilatazione del liquido, e i granelli vanno a uno stato solido, cementando la persona. Nelle sabbie mobili si può morire di fame, caldo, ma non perché si viene risucchiati a fondo, come si vede nei film. Per estrarre un piede dalle sabbie mobili occorre la stessa forza necessaria a sollevare un’auto di media cilindrata.

Come liberarsi dalle sabbie nobili? Il segreto è muoversi lentamente, per permettere all’acqua di scorrere e riempire lo spazio intorno a voi. La dilatazione della sabbia è un problema tragico in caso di terremoti. Se si scaricano su uno strato di sabbia umida nel sottosuolo, ne causano l’espansione: l’acqua drena, viene meno l’adesione fra i granelli, e si aprono grandi crepe nel terreno che inghiottono intere città. L’Università della California ha trovato una soluzione: iniettare nel sottosuolo un batterio (Sporosarcina pasteurii) capace di cementare fra loro i granelli.

Nella sabbia si celano molte forme di vita, e diverse sono ancora da scoprire. Se una foresta pluviale può ospitare 16 tipi (phyla) di organismi, nella sabbia ce ne sono 22. Granchi, coccinelle scorpioni, scarabei, ma anche invisibili creature inferiori al mm, gli psammon. Si nutrono di foglie, batteri, animali morti: è merito loro se troviamo pulite – e piene di buchi – le spiagge, anche a Ferragosto. Fra le creature della sabbia ci sono animali resistenti come i tardigradi, capaci di sopravvivere fra i –200 °C e i +150 °C.
E le strutture più antiche sulla Terra sono le stromatoliti, sedimenti costruiti da cianobatteri intrappolando granelli di sabbia coi loro filamenti: la sabbia è stata la culla della vita. E gli stessi pianeti non sono che sabbia e polveri interstellari coagulate fra loro in milioni di anni. È falso, invece, che le perle si formino se un grano di sabbia entra in un guscio d’ostrica: occorrono materiali più grandi, come frammenti di conchiglia. Ma con tutto ciò che fanno i granelli, pretendere anche le perle sarebbe troppo.

Archimede, il matematico che scoprì il Pi greco

Il Pi greco day si festeggia ogni anno, dal 1988, il 14 marzo (3.14, secondo il modo di scrivere le date degli anglosassoni: prima il mese e poi il giorno). Dal 2019 il Pi greco day è diventato anche la Giornata Internazionale della Matematica, in occasione anche dell’anniversario della nascita di Albert Einstein. Ma chi era Archimede da Siracusa, il geniale matematico che scoprì il Pi greco, il numero più importante della scienza? La sua vita è avvolta nel mistero, ma vediamo di illuminarla facendoci luce attraverso le sue formidabili scoperte.

Invenzioni che gli costarono la vita. È il 212 a.C. e Siracusa, una delle più ricche polis del Mediterraneo, è messa a ferro e fuoco dai Romani comandati dal console Marco Claudio Marcello. Gli ordini sono chiari: Marcello vuole avere a tutti i costi l’uomo più illustre della città, quel geniale Archimede che tanto lo ha fatto penare usandogli contro diaboliche macchine da guerra. E lo vuole vivo.
A trovare l’anziano matematico è un soldato, che gli intima di seguirlo. Secondo la leggenda, lo studioso è chino a riflettere sulle figure geometriche che ha tracciato sulla sabbia: “Noli, obsecro, istum disturbare”, dice (“non rovinare, ti prego, questo disegno”). Il soldato, invece, perde la pazienza e, contravvenendo agli ordini ricevuti, lo trafigge con la spada. Finisce così, tragicamente, la vita di Archimede di Siracusa, il più grande e “moderno” matematico dell’antichità, i cui studi sulle spirali, sugli specchi ustori e sulle leve – per fare solo qualche esempio – sono ancora oggi fonte di ispirazione per gli scienziati e gli ingegneri di tutto il mondo.

Figlio d’arte. Se le opere del genio di Siracusa sono immortali, le vicende della sua vita sono invece quasi del tutto avvolte nel mistero, tanto che l’episodio su cui si hanno più notizie è proprio la morte. Su di essa, però, gli storici continuano a indagare: secondo una tesi recente, non fu causata dall’eccessivo zelo di un soldato, ma il frutto di un calcolo politico. E per capirne il motivo, occorre ripercorrere dal principio la vita del genio di Siracusa.
Come racconta egli stesso nel suo libro Arenario, in base alla ricostruzione del filologo tedesco Friedrich Blass, Archimede era figlio d’arte: nacque nel 287 a.C. a Siracusa da un astronomo di nome Fidia. Visse quindi nel secolo di maggiore splendore dell’ellenismo, l’epoca iniziata nel 323 a.C. con la morte di Alessandro Magno e terminata con la Battaglia di Azio del 31 a.C., quando Ottaviano Augusto sconfisse Antonio e Cleopatra inglobando l’Egitto, l’ultimo Stato erede del grande impero di lingua greca creato dal condottiero macedone.
Siracusa, fondata nel 734 a.C. da coloni di Corinto, era allora una monarchia: al tempo di Archimede era governata da Gerone II, salito al trono nel 270 a.C., prima da solo e poi, dal 240, in compagnia del figlio Gelone II. «Della vita dello scienziato che Plutarco ci dice parente e consigliere dei suoi sovrani, abbiamo pochissime notizie certe», spiega Lorenzo Braccesi, clase 1941, esperto in storia greca. «Da Diodoro Siculo (uno storico del I secolo a.C.) apprendiamo che si trasferì ad Alessandria d’Egitto intorno al 243 e che tornò a Siracusa nel 240, quando Gerone non aveva più l’esclusiva del potere». 

archimede In trasferta. Fu proprio in Egitto che Archimede fu proiettato alla ribalta della scena intellettuale del Mediterraneo, direttamente dal privilegiato palcoscenico del Museion (l’importante centro di ricerca scientifica di Alessandria) e della Biblioteca fondata nel III secolo a.C. «Verosimilmente lo scienziato andò ad Alessandria per motivi di studio», dice Braccesi. «Ma forse vi si era trasferito in seguito a un raffreddamento dei rapporti con Gerone, descritto dalle fonti come un despota».
Di certo il viaggio fu proficuo. Tutte le opere che gli sono attribuite – dagli studi su cerchio, spirali e parabole, a quelle sulle sfere e sui poliedri – Archimede le produsse, infatti, al suo rientro in patria. Qui visse gli ultimi 30 anni della sua vita, mantenendosi in contatto con gli amici conosciuti in Egitto, come il geografo Eratostene di Cirene e gli allievi del matematico Conone di Samo, la cui morte prematura Archimede rimpianse in diversi scritti.

Il principio del sollevamento della vite in un’illustrazione del 1875.
© Morphart Creation / Shutterstock

Vite miracolosa! Siracusa, anche se non poteva rivaleggiare con Alessandria, l’unico luogo dove Archimede potesse trovare interlocutori alla sua altezza, era una delle città più ricche, colte e popolose del Mediterraneo, al pari di Atene e Cartagine. Quando Gelone II affiancò Gerone II al potere, la polis siciliana conobbe una prosperità eccezionale, destinata a durare ininterrottamente fino al 212 a.C. E il fiore all’occhiello della sua raffinata corte fu proprio Archimede, che si prodigò per la gloria dei due tiranni e per il bene della comunità.
Secondo Ateneo, scrittore greco vissuto tra II e III secolo d.C., il suo primo geniale contributo fu l’ideazione di una vite per pompare l’acqua necessaria all’irrigazione dei campi, spostandola dal basso verso l’alto: Archimede la realizzò perfezionando un meccanismo che aveva visto in Egitto. L’invenzione affascinò, tra gli altri, anche Galileo Galilei, che la definì “miracolosa” nel suo libro Le mecaniche (1599). E trova ancora oggi applicazioni nella tecnologia moderna. 

Sollevare la supernave. Altro fiore all’occhiello della produzione scientifica di Archimede è il principio della leva, alla base del funzionamento degli apriscatole e dei piedi di porco. Schematicamente, una leva è composta da un “fulcro” (il  punto d’appoggio) che la divide in due “bracci”. E il principio afferma che, quanto più lungo è il braccio della leva su cui si esercita una forza, tanta più  forza si riesce a esercitare sull’altro. Archimede dimostrò pubblicamente il principio con una stupefacente esibizione: attraverso una leva composta, riuscì tra gli applausi a innalzare una nave carica con la sola forza delle sue braccia.
Stando al racconto di Ateneo, si sarebbe trattato della Siracusia, una delle imbarcazioni più imponenti dell’antichità (era lunga 55 metri) costruita, per volere di Gerone, da Archia di Corinto con la supervisione dello stesso Archimede. Una parte importante dell’attività dello scienziato fu comunque dedicata al diletto dei regnanti. L’esempio più spettacolare fu un planetarium, una sfera celeste che riproduceva i movimenti di Sole, Luna e pianeti con tanta esattezza da mostrare perfino le eclissi. Un altro esempio è l’aneddoto della corona d’oro, in seguito al quale lo scienziato arrivò a formulare il celebre principio passato alla Storia con il suo nome.

Amico del tiranno. Non si sa molto, in realtà, dei rapporti tra Archimede e Gerone II, ma l’amicizia che lo legò a Gelone II appare indiscutibile. Lo testimonia il fatto che proprio a lui Archimede dedicò l’Arenario, un’opera sullo studio dei grandi numeri e in particolare sul calcolo della quantità di granelli di sabbia necessari a riempire l’Universo (che secondo le conoscenze dell’epoca era la sfera delle stelle fisse).
«La mancata citazione di Gerone in quest’opera non può che essere  voluta», argomenta Braccesi, «e denuncia una precisa scelta di campo tra due sovrani che non coltivavano gli stessi orientamenti politici: mentre Gerone era un fautore dell’alleanza con Roma, Gelone era infatti palesemente filo-punico». La sua politica matrimoniale, in effetti, sembra un manifesto di orgoglio ellenistico: nel 232 sposò Nereide, principessa figlia di Pirro, acerrimo nemico di Roma e discendente di Olimpiade, la madre di Alessandro Magno. Archimede, quindi, era più vicino alle posizioni di Gelone, schierato contro Roma, che a quelle di Gerone. 

Già allora, infatti, doveva essere evidente la minaccia rappresentata dai “barbari” Romani, che attesero il 218 per sfidare di nuovo i Cartaginesi, uomini di stirpe fenicia ma di riconosciuta cultura greca. Nel bel mezzo della Seconda guerra punica fu il quindicenne Geronimo, morto il padre Gelone nel 216 e succeduto al nonno Gerone nel 215, a infrangere i legami con Roma, per scegliere l’alleanza con Annibale e provocare, nel 212, di conseguenza, l’intervento del console Marcello.
Macchine di guerra. Plutarco, la cui Vita di Marcello rappresenta la nostra fonte principale, sostiene che, durante l’assedio, alla forza bruta di Roma la raffinata Siracusa non poté che opporre il genio di un vecchio. Archimede si dedicò infatti alla realizzazione di macchine belliche, tra cui la manus ferrea, un artiglio meccanico in grado di ribaltare le imbarcazioni nemiche, e gli specchi ustori, lamiere metalliche concave che riflettevano la luce solare concentrandola sui nemici. Galeno, il celebre medico del III secolo d.C., racconta che lo scienziato riuscì con questo sistema a incendiare numerose triremi romane.
Ma la supremazia di Roma era schiacciante. Plutarco narra che dopo la caduta della città, Archimede sarebbe morto da incosciente, supplicando un ignorante soldato di non rovinare il suo disegno senza rendersi conto che così facendo lo avrebbe esasperato, condannandosi a morte. Ma le cose andarono davvero così? Secondo Braccesi, la realtà è un’altra: «Nell’ora della resa dei conti tra Roma e Cartagine fu lo stesso Archimede a consigliare al giovane e inesperto Geronimo, di cui era stato maestro, di ribaltare le alleanze, schierandosi con Annibale. Marcello, che non poteva ignorarlo, ne ordinò così la morte, affidandosi al sicario di turno».

La morte di Archimede in un’illustrazione ottocentesca.
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Scienziato dimenticato. All’eliminazione fisica, seguì la rimozione dalla memoria: meno di un secolo e mezzo bastò ai siracusani per dimenticarsi di Archimede, la cui tomba finì abbandonata fuori della città. A identificarla, nel 75 a.C., fu Cicerone, seguendo le indicazioni contenute in un documento dove si diceva che sulla sua sommità era scolpita una sfera, inscritta in un cilindro. Il celebre oratore nato ad Arpino, nel Frusinate, non riuscì a trattenere il disappunto: “Così la nobilissima cittadinanza della Grecia, una volta veramente molto dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo unico cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a sapere da un uomo di Arpino”. Cioè da un discendente dei rozzi Romani.   
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Tratto da “Ingegno e politica” di Federico Gurgone, pubblicato su Focus Storia Collection Grecia e Roma: i protagonisti, disponibile solo in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia ora in edicola.

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