Mummia di faraone 'spogliata' digitalmente dopo 3.500 anni

    La mummia del faraone Amenhotep I, antica di 3.500 anni, scoperta nel 1881 ma mai ‘spogliata’ dagli archeologi, è stata svelata digitalmente da alcuni scienziati egiziani, rivelando dettagli inediti sulla vita e la morte del re egiziano. Lo riporta la Cnn.
    Decorata con ghirlande di fiori e un’affascinante maschera facciale in legno, la mummia era così fragile che gli archeologi non avevano mai osato esporne i resti, rendendola l’unica mummia reale egiziana trovata nel XIX secolo e non ancora aperta dagli studiosi.
    “Scaricando digitalmente la mummia e ‘staccando’ i suoi strati virtuali – la maschera facciale, le bende e la mummia stessa – potremmo studiare questo faraone ben …..

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La mummia di un ragazzino nell’antico Egitto

Usando la TAC per “sbendare” virtualmente una mummia di un giovane vissuto nell’antico Egitto 2.300 anni fa, soprannominato il “ragazzo d’oro”, si è scoperto che fu sepolto con 49 amuleti di 21 diversi tipi, alcuni in oro, nascosti tra le bande e sistemati sopra o dentro il corpo. Sul cuore l’amuleto di uno scarabeo per annullare il peso del cuore confrontato con quello di una piuma, come prescritto nel Libro dei Morti (una raccolta di 200 formule per raggiungere la vita eterna, scritte su rotoli di papiro). E ai piedi un paio di sandali per camminare fuori dal sarcofago nell’Aldilà.

Prezioso, ma abbandonato. La mummia del giovane, ritrovata nel 1916 in un cimitero utilizzato tra il 332 e il 30 a.C. circa a Nag el-Hassay, nel sud dell’Egitto, era deposta all’interno di due bare: quella esterna riporta un’iscrizione greca, mentre il sarcofago è in legno. Conservata nel seminterrato del Museo Egizio del Cairo, non era mai stata esaminata fino a oggi. La TAC ha rivelato che il ragazzino, alto 128 cm, non circonciso, non mostrava alcuna malattia in corso o ferita traumatica, per cui la morte deve essere avvenuta per cause naturali. Dal grado di fusione ossea e dai denti del giudizio non erotti, gli autori stimano che il giovane avesse tra i 14 e i 15 anni. La dentatura era completa e sana, senza alcun segno di carie. Le viscere erano state tutte rimosse (a parte il cuore) tramite un’incisione, mentre il cervello, estratto dal naso, era stato sostituito con resina.

Un bagaglio per l’eternità. Il defunto indossava sul viso una maschera dorata e ai piedi un paio di sandali. «Ai suoi piedi i famigliari avevano messo dei sandali bianchi per consentirgli di uscire dalla bara e recitare i versi del Libro dei Morti», spiega spiega il dottor Sahar Saleem, autore dello studio pubblicato su Frontiers in Medicine e professore presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo, in Egitto.

Tra i 49 amuleti rilevati dalla Tac, uno ha due dita e si trova accanto al pene non circonciso del ragazzo, poi c’è uno scarabeo posto all’interno della cavità toracica e infine una lingua d’oro all’interno della bocca. Questa mummia, appartenuta sicuramente a un ragazzo proveniente da una famiglia molto abbiente, è una miniera di informazioni sulle credenze e le tradizioni degli Egizi del periodo tolemaico (che va dal 304 al 30 a.C) in merito alla morte e alla vita nell’aldilà.

Uno sguardo sull’aldilà. Gli antichi egizi credevano che dopo la morte, a separarsi dal corpo fosse prima il ka del defunto (la sua essenza vitale), seguito – dopo la cerimonia funebre – dal ba (l’anima).

Il viaggio nell’oltretomba iniziava sotto la protezione di Horo (un dio con la testa di falco) che scortava il defunto di fronte al tribunale divino. Ma prima di tutto questo, la salma doveva essere stata correttamente imbalsamata e posta nel sarcofago, contornata di suppellettili, gioielli e cibo, oltre che dal Libro dei morti.

Giudizio divino. Per arrivare alla sala del giudizio il defunto doveva superare i 12 regni sotterranei, scansando pericoli di ogni genere. Professata la dichiarazione di innocenza, in cui giurava di non aver commesso azioni da condannare in vita, Anubi (dio con la testa di sciacallo) ne poneva il cuore (sede della coscienza) su una bilancia. Se questo pesava più della piuma della dea della giustizia Maat, veniva divorato dal mostro Ammut ed era condannato all’eterno oblio, mentre Thot, dio della scrittura, annotava il risultato del giudizio.

Un “ragazzo d’oro”. Per sottoporsi a questo severo giudizio, la famiglia si assicurava che il defunto fosse dotato di ogni bene necessario per la vita nell’aldilà. Per questo motivo, durante il ritrovamento gli scienziati, utilizzando la tomografia assiale computerizzata (TAC) per “sbendare virtualmente” la mummia, hanno scoperto che questo giovane, soprannominato poi il “ragazzo d’oro”, custodiva dentro di sé, indisturbato da secoli, le più antiche credenze egizie sulla vita dopo la morte. I suoi cari, infatti, lo mandarono “in viaggio” con ben 49 amuleti di 21 tipi diversi per facilitarne la “risurrezione”.

Il sarcofago del cosiddetto “ragazzo d’oro”, il giovane vissuto nell’antico Egitto 2.300 anni fa.
© SN SALEEM, SA SEDDIK, M EL-HALWAGY

Valore simbolico. Tra i tesori rilevati dalla TAC gli archeologi hanno trovato l’occhio di Horus (udjat in egizio, che aveva lo scopo di vigilare sul viaggio del defunto), lo scarabeo, un amuleto aketh (a doppia spirale), il nodo di Iside (che garantiva protezione in vita e nell’aldilà) e tanti altri preziosi.
«Lo scarabeo del cuore, menzionato nel capitolo 30 del Libro dei Morti, era considerato fondamentale nell’aldilà durante il giudizio del defunto e la pesatura del cuore contro la piuma della dea Maat. Era stato posizionato all’interno della cavità del torso durante la mummificazione per sostituire il cuore se il corpo fosse stato privato di questo organo. La maggior parte degli amuleti erano d’oro, mentre altri erano stati fabbricati con pietre semipreziose, argilla cotta o maioliche. Il loro scopo era proteggere il corpo e dargli vitalità nell’aldilà», prosegue Saleem.

Ieri come oggi. Le ghirlande di felci poste intorno alla mummia ci raccontano del valore simbolico attribuito alla natura dagli antichi Egizi: «Erano affascinati da piante e fiori, li consideravano sacri, infatti venivano depositati, accanto al defunto al momento della sepoltura, anche nelle tombe dei re del Nuovo Regno, come  Ahmose, Amenhotep I e Ramses II.

Al defunto venivano anche offerte piante in ogni visita ai defunti durante le festività, proprio come avviene al giorno d’oggi», conclude Saleem.

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Archeologia con la TAC: 10 scansioni sorprendenti

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