Cosa ne facciamo del passato, lo abbattiamo tutto? La risposta in un libro
Pierre vesperini parla al Foglio della cancel culture: “Se si deve togliere dagli edifici pubblici ciò che è testimone di un’ingiustizia, allora si deve togliere tutto, perché ogni opera d’arte era a servizio del potere, che non era per niente democratico”
Parigi. La “cancel culture”, in occidente, non ha risparmiato nessuno: dalle statue abbattute in nome del Black Lives Matter ai libri riscritti per non urtare la sensibilità delle minoranze, dalla rimozione di quadri considerati “razzisti” agli avvisi di contenuto (trigger warning) prima di un film, di uno spettacolo o a teatro per le opere di Shakespeare. Si può uscire da questa furia iconoclasta e trovare un equilibrio nel modo in cui affrontiamo il nostro passato e ci rapportiamo a esso, sfuggendo al manicheismo? Si deve, secondo il filosofo francese Pierre Vesperini, esperto di storia antica e ricercatore presso il Cnrs, che ha appena pubblicato “Que faire du passé? Réflexions sur la cancel culture” (Fayard). “Il movimento della ‘cancel culture’, che sta sfidando la nostra ‘storia sacra’, oleografica, parte da premesse giuste. E’ vero che la civiltà occidentale veicola pregiudizi orrendi: razzisti, misogini, antisemiti. Ma la soluzione proposta, quella della cancellazione o, a volte, della redenzione attraverso la riscrittura, mi sembra assurda e pericolosa. Occorre guardare in faccia il passato e decidere, caso per caso, come comportarsi”, dice al Foglio Vesperini.
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