Giubileo di platino, in mostra abiti e gioielli di queen Elizabeth

Continuano nel Regno Unito le celebrazioni per il giubileo di platino di Elisabetta II. Fino alla fine di settembre tre le mostre per ricordare l’augusta sovrana e i suoi 70 anni di regno nei saloni del Castello di Windsor (‘The Queen’s Coronation’) a Buckingham Palace (‘The Queen’s Accession), a Holyroodhouse (‘Platinum Jubilee Display’). Si tratta di appuntamenti assolutamente unici perché ripercorrono le tappe della monarchia inglese attraverso gli abiti indossati da queen Elizabeth. Da quello portato il giorno del suo matrimonio con il futuro duca di Edimburgo nel 1952 firmato Norman Hartnell alla mise dell’incoronazione accanto ad una serie di broche realizzate in platino e diamanti.

Dopo due anni di chiusura ha riaperto al pubblico il palazzo di Buckingham Palace. Esposta la corona indossata da re Giorgio IV, creata nel 1821 e portata anche da Elisabetta II, quasi sempre durante l’apertura del Parlamento. Un pezzo unico e raro composto da perle e mille e 333 diamanti, un gioiello ammirato e amato. Il pubblico potrà anche contemplare nella residenza ufficiale della regina il collier Delhi Durbar, una creazione del gioielliere Garrard datata 1911, per espressa volontà e richiesta di re Giorgio V, un cadeau per la regina Mary. Il collier fu realizzato con smeraldi purissimi e un diamante Cullinan, considerato il diamante più grande al mondo.

Mode à l’honneur a Holyroodhouse con la Royal Collection Trust che ha deciso di esporre alcuni degli abiti iconici indossati dalla regina Elisabetta, immortalati durante importanti eventi e occasioni regali come l’ensemble rosa disegnato dallo stilista Hardy Amies per il giubileo d’argento nel 1977, indossato nella cattedrale di Saint-Paul, e coordinato con un cappellino, ormai passato alla storia, lavorato con 25 piccole campane (da un’idea del modista Frederick Fox). Uno dei look rilanciati dalla serie tv The Crown. Icona allo stato puro.

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È morta la regina Elisabetta II

“London Bridge is down” (“Il Ponte di Londra è crollato”) con questa frase in codice è stato annunciato oggi al Primo ministro inglese, e poi a cascata a tutto il parlamento, la morte della regina Elisabetta II. La sovrana, 96 anni compiuti lo scorso aprile, sedeva sul trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord da quando aveva 27 anni (incoronata il 2 giugno 1953), ha fatto veramente la Storia: con i suoi settant’anni di regno (il più lungo in assoluto in Inghilterra, superata solo da Luigi XIV) ha segnato un record di “anzianità di servizio”. Ecco la carta d’identità con gli aspetti forse più curiosi e meno noti di Sua maestà Elisabetta II.

NOME: ELIZABETH R. Il suo nome completo era Elizabeth Alexandra Mary, detta Lilibeth, ma il titolo regale era molto più lungo: “Elizabeth the Second, by the Grace of God, of the United Kingdom, Canada and Her other Realms and Territories, Queen, Head of the Commonwealth, Defender of the Faith”. Quando era lei a firmarsi, si limitava a Elizabeth R, dove “R” sta per regina, equivalente latino dell’inglese queen.

COGNOME: DI FANTASIA. I Windsor sono la casa reale del Regno Unito, ma del loro casato, a ben vedere, non c’è traccia nella Storia. Perché? Il loro “cognome” originale era in realtà Sassonia-Coburgo-Gotha, dall’omonimo casato di Sassonia. Fu Giorgio V, il nonno di Elisabetta, a cambiarlo nel 1917, spinto dal sentimento anti-tedesco degli inglesi alla fine della Prima guerra mondiale. La cittadina di Windsor, dove si trova un famoso castello reale lo ispirò nella scelta del nuovo nome. Nel 1952 Elisabetta emanò un ordine col quale conferiva il cognome Windsor ai suoi figli, ma nel 1960 corresse il tiro e lo cambiò in Windsor-Mountbatten (Mountbatten era il cognome adottato da Filippo nel 1947, cioè quello della famiglia di sua madre).

DATA E LUOGO DI NASCITA (E DI MORTE). Nacque il  21 aprile 1926 alle ore 02:40 al n. 17 di Bruton Street a Mayfair (Londra) e venne battezzata nella cappella privata di Buckingham Palace dall’Arcivescovo di York. Morta nel pomeriggio dell’8 settembre 2022, il suo funerale verrà celebrato nell’Abbazia di Westminster.

Buckingham Palace, la facciata attuale risale al 1913.
© HVRIS / Shutterstock

LUOGO DI RESIDENZA: the Palace. Elisabetta è morta nel suo Castello di Balmoral (Scozia), dove trascorreva tradizionalmente le sue vacanze. Si tratta di una sua proprietà personale e non della Corona. Tuttavia da marzo 2020, la regina si era trasferita in pianta stabile nel Castello di Windsor, anche se, da sempre, la residenza ufficiale della sovrana è stata al SW1A 1AA di Londra, ovvero l’indirizzo esatto di Buckingham Palace.

Dal 17 settembre torna in edicola la ristampa del numero speciale di Focus Storia dedicato a Elisabetta II e alle altre regine che hanno fatto la storia.

Fu l’architetto William Winde (1645- 1722 ) a ricostruire Buckingham House per John Sheffield, primo duca di Buckingham, poeta e importante politico tory vissuto nella tarda epoca degli Stuart. A quel tempo era più una villa di campagna alla periferia di Londra che una residenza cittadina, tra il parco di St James e Hyde Park.
Era stata edificata su terreni della Corona, dove re Giacomo I aveva fatto piantare un giardino di gelsi, e questo permise a re Giorgio III di acquisirla nel 1731 come residenza privata. Fu poi la Regina Vittoria, 106 anni dopo, a trasferirsi lì, quando il palazzo era ancora fresco di vernice. Ma risultò troppo piccolo, sia per le funzioni di Stato che per la vita di famiglia e venne dunque ingrandito.
Che numeri. Con il progetto di Aston Webb (1849-1930), Buckingham Palace divenne la reggia che conosciamo e oggi nel suo complesso conta 775 stanze, di cui 19 sale di rappresentanza, 52 camere da letto reali e per foresteria, 188 camere da letto per il personale, 92 uffici e 78 stanze da bagno. Nella reggia lavoravano più di 800 persone e ogni anno ne venivano ricevute oltre 50.000.
Ci sono 1.514 porte e 760 finestre, pulite ogni sei settimane, oltre 40.000 lampadine e più di 350 orologi che ne fanno una delle più grandi collezioni esistenti al mondo, affidata alle cure di due orologiai a tempo pieno. Negli splendidi giardini che ospitano i famosi garden-parties, vivono più di 30 differenti specie di uccelli e crescono più di 350 diversi fiori selvatici. A Palazzo c’è poi una cappella, un ufficio postale, una caffetteria, un ambulatorio medico, un cinema.

STATO CIVILE: VEDOVA DEL CUGINO. La regina e il principe Filippo, sposati nel 1947, erano anche lontani cugini, poiché condividevano i trisavoli: la regina Vittoria e il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha. Filippo di Edimburgo era infatti il nipote di Costantino I di Grecia, costretto ad abdicare dopo che la Grecia perse la guerra contro la Turchia, nel 1922. Filippo fuggì con la famiglia in Francia, poi in Germania, e da qui in Scozia, nel 1933. Conobbe ufficialmente Elisabetta sei anni dopo, durante una visita della famiglia reale a un college. Secondo i biografi fu un colpo di fulmine: cominciò tra i due una fitta corrispondenza che li portò al fidanzamento. Lui aveva 18 anni, lei 13, e le idee ben chiare. Il matrimonio è durato fino al 9 aprile 2021, data della morte di Filippo di Edimburgo.

Francobollo inglese, stampato per commemorare le nozze di Elisabetta II e Filippo, nel 1947.
© Neftali / Shutterstock

PROFESSIONE: REGINA PER CASO E MECCANICO. Elisabetta nacque duchessa: il padre Giorgio VI era duca di York, secondogenito di Giorgio V e fratello dell’erede al trono Edoardo. Questi però si innamorò di Wallis Simpson, donna americana non aristocratica e pluridivorziata, inconciliabile con la corona per questioni religiose e politiche. Edoardo la sposò comunque e, nel 1936, abdicò a favore del fratello, proiettandone la figlia in cima alla linea di successione. Edoardo e Wallis non ebbero figli: anche se avessero regnato, Elisabetta avrebbe avuto la sua chance di salire al trono come primogenita del duca di York. Oltre alla carriera di regina, avrebbe potuto intraprendere quella di meccanico: durante la Seconda guerra mondiale, infatti, l’allora principessa servì come ausiliaria del Servizio Territoriale e fu addestrata come meccanico e autista. Guidare le è sempre piaciuto, anche se non ha mai preso la patente.

Elisabetta nel 1947, quando non era ancora regina, a Malta.
© McCarthy’s PhotoWorks / Shutterstock

PATRIMONIO: GOD SAVE THE CROWN. Secondo il Sunday Times il suo patrimonio si aggirava intorno a 365 milioni di sterline (430 milioni di euro) e comprendeva due tenute (Sandringham e il Castello di Balmoral), il ducato di Lancaster, titoli di Borsa, 300 gioielli, un centinaio di cavalli purosangue, opere d’arte e una collezione di francobolli tra le più importanti al mondo. Il suo patrimonio personale non va confuso con quello della corona: oltre ai gioielli,  la regina aveva 9 troni: uno alla Camera dei Lord, due nell’Abbazia di Westminster e sei nella sala del trono a Buckingham Palace, per le cerimonie ufficiali. Il patrimonio della Corona – che supera i 10 miliardi di sterline e comprende immobili di pregio, terreni e miniere – viene amministrato dallo Stato. Alla regina spetta “solo” il 15 per cento degli utili annuali. Ma non era tra i più ricchi del regno: sempre secondo il Sunday Times Rich List 2022 non rientrava neanche tra le prime 250 persone.

ORIENTAMENTO POLITICO: SOPRA LE PARTI. Elisabetta II regnava, ma di fatto non governava, la Gran Bretagna: il suo ruolo prevedeva che fosse un capo di Stato al di sopra dei partiti. Da quando Elisabetta II salì sul trono ebbe l’occasione d’incontrare uno svariato numero di “colleghi” e capi di Stato, molti dei quali protagonisti della storia del Novecento: Winston Churchill, 14 presidenti Usa da Eisenhower a Biden (passando per Kennedy e Reagan) e leader come Nelson Mandela e Gorbaciov. Con la premier Margaret Thatcher invece pare non andasse d’accordo: la regina non avrebbe perdonato alla Lady di ferro la mancata presa di posizione contro l’apartheid in Sudafrica e la dura repressione riservata ai minatori del Galles in sciopero, nel 1984.  Inoltre la regina che era capo istituzionale – ma non spirituale – della Chiesa anglicana, ha conosciuto anche 7 pontefici (non fece in tempo a conoscere papa Luciani). L’Italia, da quando Elisabetta II è stata incoronata, ha cambiato 11 presidenti. La regina li ha incontrati quasi tutti: Luigi Einaudi (1961), Sandro Pertini (1980), Carlo Azeglio Ciampi (2000), Giorgio Napolitano (2014) e Sergio Mattarella (2015).

Buon compleanno, regina Elisabetta!

Quando nei libri di Storia apparirà il racconto di questi ultimi due anni terribili, tra pandemia e guerra in Ucraina, uno storico spiegherà come negli anni della Covid e della Brexit, il perno attorno al quale i britannici possono raccogliersi resta ancora una volta la monarchia, nella persona di Elisabetta II, una donna di 96 primavere (è nata il 21 aprile 1926) che regna da 70 anni (è salita al trono il 6 febbraio 1952, dopo la morte del padre Giorgio VI) e ha visto più cose di qualunque politico dei giorni nostri.
Elisabetta II, Una vera icona. Da febbraio sono partiti i festeggiamenti per il Giubileo di Platino della sovrana, che culmineranno nella spettacolare parata Trooping the Colour del 2 giugno. La regina Vittoria (1819-1901, 63 anni e 7 mesi di regno) era arrivata solo al Giubileo di Diamante. 

Elisabetta fa parte del quotidiano dei britannici al pari del Tower Bridge: sta sulle tazze da tè e sugli ombrellini per turisti, è così familiare da diventare la protagonista di serial tv di richiamo mondiale, come The crown, e di libri di fanfiction. Alan Bennet, nel romanzo La sovrana lettrice, la trasforma in una vorace consumatrice di romanzi; Elisabetta in persona chiede i libri in prestito al furgoncino della Biblioteca circolante del distretto di Westminster, che ogni settimana parcheggia davanti alle cucine di Buckingham Palace. E a mano a mano che s’immerge nella lettura, mostra la sua ironia nel giudicare i protagonisti delle pagine divorate, molti dei quali conosciuti personalmente nei lunghi anni di regno.
Perché se è un personaggio che si possa definire storico, questa è Elizabeth Alexandra Mary Windsor, l’ultimo capo di Stato vivente ad aver conosciuto la Seconda guerra mondiale e i suoi protagonisti, da Churchill a Eisenhower, ad aver regnato mentre Mao era presidente per poi essere ospite nella foresteria di Deng Xiao Ping a Pechino.

Ha incontrato tutti i presidenti americani da Truman in poi, ha ricevuto John Fitzgerald Kennedy e Jackie e le due pietre dello scandalo Nixon e Trump. Ha portato nella fiabesca carrozza di Stato, i presidenti francesi De Gaulle e Chirac, il leader delle libertà Mandela e il campione delle dittature del dopoguerra Ceaucescu, ha cenato con quattro presidenti russi, da Kosygin a Gorbachev, da Eltsin a Putin, ed è salita sul treno blu con Tito per attraversare con lui la Yugoslavia ancora unita. Questa donna che ha conosciuto cinque papi è stata erede al trono dell’impero anglo-indiano, per poi perderlo e consegnarlo a Nehru e Indira Gandhi, premier dell’India indipendente.
Ha visto due Olimpiadi di Londra: quella del dopoguerra, nel 1948, aperta dal padre Giorgio VI nello stadio di Wembley; e quella del 2012 inaugurata da lei, nell’anno del suo Giubileo d’argento, lanciandosi da un elicottero in compagnia di James Bond, per atterrare – a 86 anni, in pizzo rosa e cappellino di piume – sull’Olympic Park che porta il suo nome (il lancio era finzione, d’accordo, ma la regina nel pronunciare la sua battuta era convincente quanto Daniel Craig!).

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I suoi nemici. Questa sovrana del Commonwealth, che è il capo di 16 Stati, dalle isole britanniche all’Australia, dal Canada alla Giamaica, nella sua vita si è adattata a cambiamenti impensabili nei ruggenti anni Venti in cui è nata. Ed è stata riprodotta in 130 ritratti ufficiali, da Andy Warhol a Lucien Freud. Si è scontrata con nemici vecchi e nuovi: letali come Hitler, che per mesi ha riversato bombe sulla capitale inglese e sulla residenza dei sovrani, e insidiosi come Diana, la nuora bionda ed elegante, che per un pelo non ha abbattuto la monarchia rivelando i sordidi tradimenti dell’erede al trono Carlo. Ne è uscita indennne, anche se un po’ ammaccata.

Quando Elizabeth Alexandra Mary Windsor venne al mondo era solo terza nella linea di successione al trono. Nacque alle due e trenta del mattino, con un parto cesareo, al 17 di Bruton Street a Mayfair, la residenza londinese dei nonni materni, i conti di Strathmore e Kinghorne, distrutta poi dalle bombe. La famiglia si trasferì lì quando Elizabeth aveva 14 mesi e i genitori erano appena tornati da un tour di sei mesi tra Australia e Nuova Zelanda.
Non toccava a lei. A quattro anni le avevano già dedicato la sua prima biografia, a 11 la seconda, ma nel 1936 Elizabeth era ancora e solo Lillybet, ignara che in quell’anno fatale si stesse consumando la separazione fra Edoardo VIII e la corona del Commonwealth: il giovane sovrano regnò dal 20gennaio all’11 dicembre, abdicando per poter sposare l’americana Wallis Simpson. Ei l padre di Elisabetta, Giorgio VI, dovette salire al trono suo malgrado. Non fu unas orpresa. Lo stesso Giorgio V, al momento della nascita della sorellina di Lillybet, la principessa Margaret (1930), aveva ordinato una special investigation per dirimere una «controversia costituzionale», come scrive Ben Pimlott: «Alcuni esperti avevano avanzato la tesi che le due sorelle avessero eguali diritti dinastici» nella linea di successione. Dubbio presto dissipato, con somma soddisfazione del sovrano.

Seduzione nazista. Dopo la morte di Giorgio V (1936), tutto il Paese era rimasto a osservare l’amore scandaloso che si consumava a corte tra l’americana e il nuovo re. Nell’ottobre del1937 Edoardo e la moglie Wallis, retrocessi a duchi di Windsor, si avventurarono in un viaggio privato in Germania, a conclusione del quale furono ricevuti da Hitler al Berghof, il suo rifugio sulle Alpi Bavaresi.
In quei mesi cruciali Elisabetta si dedicava ai giochi di una ragazzina, veniva educata in casa con Margaret sotto la supervisione della madre, Elizabeth Bowes-Lyon. Faceva molto sport, cavalcava e spupazzava i suo cani corgi. Al 145 di Piccadilly la famiglia del futuro re appariva perfetta, scrive lo storico Ben Pimlott: «Un padre orgoglioso,modesto e riservato, una madre pratica, concentrata sull’educazione delle figlie, due bimbe ben educate, ben vestite e pettinate, i pony, i cani», insomma «un distillato di britannica wholesomeness (salubrità)». Lillybet con la sorella scrisse ai genitori una letterina zuccherosa in cui faceva il resoconto dell’incoronazione di suo padre, che si era tenuta nella cattedrale di Westminster nel maggio 1937.

Pochi giorni dopo saliva al potere il primo ministro Chamberlain che avrebbe firmato l’accordo di Monaco con i nazisti (1938). Allora mezzo governo tifava per i tedeschi. C’era solo il vecchio Winston Churchill a tuonare per un’azione di contrasto. La mobilitazione delle truppe riportò gli inglesi alla realtà: il Paese aprì gli occhi nel maggio del 1940, con le dimissioni di Neville. Churchill divenne il nuovo premier. Al povero Giorgio VI, che era balbuziente, spettava però un altro ruolo, quello di esempio.
Sotto le bombe. Il re che tartagliava conosceva i suoi doveri: aveva già combattuto i tedeschi nella battaglia dello Jutland (1916). E con la moglie decise di restare a Londra, invece di mettere la famiglia in salvo in Canada. Il 13 settembre evitarono per un pelo la morte: sei bombe tedesche esplosero su Buckingham Palace. Iniziavano gli otto lunghi mesi del Blitz, il bombardamento di Londra: il sessanta per cento delle abitazioni furono sventrate o danneggiate, 40mila civili vennero uccisi, oltre centomila feriti.

La principessa Elisabetta, appena ebbe l’età per farlo, indossò la divisa da ausiliaria (matricola 230873), prese la patente da autista e si mise al volante di ambulanze e jeep, un’abitudine che avrebbe conservato per tutta la vita. Imparò a riparare i motori di camion militari e pronunciò il suo primo discorso radiofonico nel programma Children’s Hour della BBC: «Stiamo facendo il possibile per aiutare i nostri valorosi i soldati e stiamo pure cercando di sopportare la nostra parte di pericolo e di tristezza per la guerra. L’8 maggio 1945 Churchill parlò per radio annunciando la resa tedesca. La famiglia reale uscì dai cancelli del palazzo in mezzo alla folla che si accalcava per applaudirli.
La guerra è finita. Quella sera Margaret ed Elizabeth, in divisa militare, si mischiarono ai londinesi per festeggiare la vittoria. Le faceva da scorta il cugino Filippo di Grecia (1921-2021), aitante, biondo, un profugo. «Ero terrorizzata dall’idea che potessero riconoscermi, ma non potrò mai dimenticare quella marea di felicità e sollievo», disse anni dopo la regina in una delle rare interviste concesse. Decenni dopo, scrive Pimlott nella sua poderosa biografia, avrebbe confessato a una deputata del Labour che «quello era stato l’unico periodo della sua vita in cui era stata davvero capace di mettere alla prova le sue capacità e confrontarsi con i coetanei».

Mai un passo indietro. Eppure Elisabetta si è confrontata con svolte epocali, ma lo ha fatto per lo più senza batter ciglio, dimostrando di essere nata per quel ruolo. Ogni volta ha esibito una saldezza che ha pochi paragoni nella Storia: come quando si è ritrovata regina durante un viaggio in Kenya (1952), dove Filippo le ha annunciato l’improvvisa morte del padre. O come quando ha affrontato le doglie mentre il marito, impegnato a giocare a squash, veniva richiamato in gran fretta. Ha assicurato il futuro della monarchia dando alla luce Charles (1948) al secondo piano di Buckingham Palace. I medici avevano preannunciato una bambina. Non ha fatto una piega davanti alle incessanti dicerie sulle infedeltà dell’amato Filippo, ma quando lo scorso anno ha assistito alle sue esequie tutto il regno l’ha vista in diretta tv sola e desolata. Oggi è il tempo della festa, della parata e delle bandierine. E Lillybet è ancora lì.

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Elisabetta II e Vittoria, regine a confronto

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