La freccia del deserto: il dinosauro corridore

Le impronte di otto dinosauri teropodi (carnivori bipedi) sono state preservate per milioni anni dal più grande deserto fossile nella storia della Terra. Si tratta di una zona desertica, che nel Cretaceo inferiore (145-99 milioni di anni fa), si estendeva per 1 milione e 300 mila chilometri quadrati, dall’attuale Brasile al Paraguay, fino all’Argentina. E continuava in Namibia perché a quei tempi l’Africa era attaccata all’America del Sud.

Zona trafficata. Oggi quel deserto è rappresentato dai depositi di arenaria rosso-giallastra, portati dal vento, della Formazione Botucatu, dove sono state trovate migliaia di orme e piste di mammiferi primitivi, anche di dinosauri, lucertole e artropodi, a dimostrazione che c’era un discreto via vai di esseri viventi, nonostante il deserto. Tra questi dinosauri teropodi, uno in particolare, sulla base dei rilevamenti di orme effettuati nel sito di São Bento (Araraquara, stato brasiliano di San Paolo) è ora al centro di uno studio pubblicato sulla rivista paleontologica Cretaceus Research .

Un dinosauro da record. La ricerca a cura di un gruppo di paleontologi italo-brasiliano, descrive per la prima volta come nuovo icnogenere e nuova icnospecie (sulla base delle orme) un dinosauro corridore, Farlowichnus rapidus, perfettamente adattato all’ambiente desertico. Ma in cosa consisteva questo adattamento?

Zampa di gallina. Occorre premettere che le orme dei teropodi, assomigliano a grandi impronte di gallina (dal punto di vista evolutivo le galline sono dei dinosauri teropodi moderni). Sul terreno, infatti questi dinosauri bipedi del Cretaceo lasciavano, per ognuna delle due zampe posteriori i segni di tre dita. Facendo un parallelo con le dita del piede umano, sarebbero il secondo, il terzo e il quarto dito (il primo e il quinto non appoggiavano perché atrofizzati). «In particolare, le impronte del Farlowichnus rapidus», spiega il paleontologo Giuseppe Leonardi, ricercatore senior aggiunto dell’Università Federale di Rio de Janeiro e primo firmatario dello studio «si distinguono da quelle dei teropodi per la presenza di un terzo dito grande e molto largo (il “medio”) e di due dita esterne, il quarto e il secondo, corte, sottili e appuntite, simili a lame. Altra caratteristica speciale è che il quarto dito è ancora più piccolo del secondo, contrariamente alla regola dei teropodi dove di solito è l’inverso».

Impronte - Dinosauro

Una foto delle orme del dinosauro corridore ritrovate nel sito di São Bento (Araraquara, nello Stato di San Paolo, in Brasile).
© Giuseppe Leonardi

Convergenza evolutiva. «A causa di questa morfologia», spiega l’esperto «il contorno generale dell’impronta del Farlowichnus rapidus ricorda quello di una grossa goccia d’acqua e, sebbene strutturalmente sia tridattila (a tre dita), l’impronta è funzionalmente monodattila (a un solo dito)».

Si scopre così una stupefacente convergenza evolutiva con due animali contemporanei molto veloci: lo struzzo, un monodattilo funzionale che utilizza proprio il terzo dito per imprimere forza al movimento durante la corsa, e il cavallo, che ha perso nell’evoluzione tutta le dita meno il terzo, che appoggia in terra protetto dallo zoccolo.

A tutta velocità. Avere un solo dito funzionale è una tendenza degli animali corridori, perché meno si tocca il terreno più si è veloci. Il grande dito centrale del dinosauro corridore era adatto a non affondare nella sabbia oltre a imprimere velocità. Le piste delle sue impronte appaiono diritte e strette, con un angolo di passo molto alto, con orme ben distanti l’una dall’altra, da cui si è calcolata una velocità pari a 25 km orari, che è notevole per un dinosauro.

Lezioni di sopravvivenza. Nell’ambiente desertico, dove non c’era vegetazione per nascondersi e preparare agguati, la velocità era fondamentale per raggiungere le prede in campo aperto. Un po’ come i moderni ghepardi, i teropodi, anche se “macchine d’epoca”, dovevano lanciarsi da lontano all’inseguimento. Essere monodattili funzionali, come nel caso del Farlowichnus rapidus, era un grande vantaggio nella corsa fra le dune.

Il valore dell’icnospecie. Occorre ricordare che Farlowichnus rapidus non significa propriamente una specie di cui si è scoperto il classico olotipo, cioè un individuo deputato a rappresentare la specie (o un genere) sotto forma di uno scheletro fossile, ma indica una icnospecie di un icnogenere (Farlowichnus) solo sulla base della forma delle sue orme. Le sue ossa non sono state trovate, perché nel deserto la fossilizzazione è difficile, dato che la sabbia crea un ambiente acido che consuma e distrugge le ossa.

Impresse nella sabbia. Come mai allora si sono conservate le impronte? Normalmente nella sabbia non collassano e svaniscono subito? «Non sempre, perché le dune possono raccogliere umidità su cui si forma un tappeto di microrganismi, come cianobatteri e alghe microscopiche, oppure si formano sottili croste di sale o gesso, e l’orma può rimanere impressa», spiega Leonardi. «Il sole fa seccare l’impronta velocemente, la sabbia trasportata dal vento può poi ricoprirla e proteggerla in modo che possa iniziare in tranquillità il processo di pietrificazione. I tappeti microbiali favoriscono una precoce diagenesi, cioè la trasformazione in roccia dei sedimenti».

Peso medio. Le orme di Farlowichnus rapidus, hanno diverse misure, vanno all’incirca dai 2 agli 11 cm di lunghezza, quindi possono essere attribuite sia a individui adulti sia molto giovani.

Dalle dimensioni delle impronte, si evince che si trattava principalmente di esemplari lunghi 1,5 metri e pesanti 12-15 chilogrammi; oppure di tre metri e pesanti in proporzione. Probabilmente erano antenati dei cladi Noasauri e Velocisauri. «Se si fa riferimento ai denti differenziati di una specie di dinosauro carnivoro di taglia media trovata sempre in Brasile, questa sì con le parti scheletriche, il Vespersaurus paranaensis», continua Leonardi «possiamo immaginare che i dinosauri del nuovo icnogenere e icnospecie si nutrirssero di mammiferi medio-piccoli, come Brasilichnium, e anche di piccoli rettili e artropodi; probabilmente senza scartare la carogne».

Un erbivoro nel deserto? È stata individuata anche la presenza di un dinosauro erbivoro ornitopode, ma non di sauropodi, dato che il deserto non consentiva a questi dinosauri erbivori, di grandi dimensioni, di sopravvivere in questo ambiente. Il ruolo di consumatori primari nella catena alimentare era ricoperto da mammiferi medio-piccoli, che attiravano teropodi di dimensioni limitate, come si vede dalle orme che non superano mai i 15 cm di lunghezza. Nessuna traccia per esempio dell’Abelisaurus (8 metri per quasi 3 tonnate di peso), il super predatore del Sud America.

Confronti tra titani. Otto forme di teropodi (come quelli dei cladi Abelisauroidea e Noasauridea)erano comunque una rappresentanza notevole in un ambiente estremo. Per fare un paragone, nella Formazione Morrison del Wyoming dove, nel Giurassico superiore (161-145 milioni di anni fa circa), si estendeva una sorta di savana di basse conifere con valli alluvionali, come carnivori, c’erano cinque forme di grandi teropodi predatori, cinque di piccoli teropodi e due di stegosauri.

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