Batterie a gravità per non sprecare energia pulita

L’energia prodotta da fonti rinnovabili presenta un problema: il meteo. Sia il vento che fa roteare le pale eoliche sia la luce che irradia i pannelli solari, infatti, non sono costanti, ma variano a seconda delle stagioni. Per questo, quando le condizioni sono favorevoli, ovvero nelle giornate particolarmente arieggiate o in quelle totalmente soleggiate, la rete di queste centrali “pulite” può facilmente sovraccaricarsi, con rischi di collasso o di blackout.

Idea antica. Una semplice soluzione a questo problema è stata inventata oltre un secolo fa. Già nel 1907, nella centrale idroelettrica di Egeweiher, in Svizzera, furono installate le cosiddette batterie a gravità (per un certo periodo note anche come “batterie ad acqua”). L’idea alla base è piuttosto semplice ma efficace: nei periodi in cui le fonti energetiche producono più energia di quanto richiesto, quella in eccesso viene impiegata per pompare l’acqua verso serbatoi posti in alto, trasformandosi così in energia utilizzabile. Invertendo il processo, ossia rilasciando l’acqua verso altri serbatoi posti più in basso (ecco perché il nome di batterie “a gravità”) e facendola passare attraverso una turbina idroelettrica, il potenziale energetico può essere in gran parte recuperato.

Flessibilità e buona efficienza. Anche se l’efficienza di tale metodo non è totale, appare essere una soluzione molto migliore rispetto a quella di lasciare che la potenza in eccesso vada sprecata, con i rischi già citati di collasso della rete. «Ci sono perdite, come in qualsiasi stoccaggio, ma il rendimento è comunque molto buono e ci consente di recuperare l’80% dell’energia sull’intero ciclo», ha dichiarato all’agenzia Reuters Alain Sauthier, direttore della centrale di Nant de Drance (canton Vallese) che è da poco ricorso a questa vecchia ma utile tecnologia. In meno di 10 minuti, d’altra parte, è possibile invertire il senso di rotazione delle turbine e passare dunque dalla produzione di elettricità all’accumulo di quest’ultima, con una flessibilità fondamentale per reagire in tempo utile alle esigenze di consumo della comunità e alle bizze meteorologiche.

Batterie al litio? Meglio di no. Ovviamente, si potrebbero anche immagazzinare le eccedenze in accumulatori convenzionali, come per esempio quelli agli ioni di litio, ma che senso avrebbe produrre energia pulita per poi ricorrere a metodi inquinanti per conservarla? Inoltre, a lungo andare – come accade per le batterie degli smartphone, dei computer portatili o delle auto elettriche – queste vanno incontro a deterioramento e a una conseguente riduzione della capacità, il che porterebbe all’esigenza della sostituzione e a uno spreco ancora più grande di risorse.

Sfruttando la gravità, invece, si limiterebbero le perdite energetiche, strizzando al contempo l’occhio all’ambiente.

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Come funzionano le super batterie per le energie rinnovabili

La transizione energetica, che sostituirà la generazione di elettricità basata sui combustibili fossili con le rinnovabili, ridurrà drasticamente le emissioni di anidride carbonica. Ma il suo successo non dipenderà solo da quanti impianti fotovoltaici o eolici verranno realizzati nel mondo. La generazione di energia dal Sole è possibile solo di giorno, mentre il vento è per sua natura intermittente. Si tratta, insomma, di due fonti energetiche che non sono sempre disponibili nel momento in cui c’è domanda di energia da parte degli utenti della rete. Ecco perché, nello sviluppo delle rinnovabili, un ruolo chiave sarà ricoperto dai “sistemi di accumulo”.
Serbatoi di elettricità. Di che cosa si tratta? In sostanza di sistemi per l’accumulo di energia, come quella prodotta da fonti rinnovabili, che successivamente può essere immessa nella rete quando serve di più, nei momenti di picco dei consumi. Sono diverse le tecnologie che possono assolvere a questo compito, ma quelle al momento più efficienti e mature per l’utilizzo su vasta scala sono i Bess, acronimo di Battery Energy Storage Systems, cioè sistemi di accumulo di energia a batteria.
Tutti i Paesi impegnati nel percorso della transizione energetica stanno puntando sulla diffusione dei sistemi Bess, Italia compresa. Sono impianti indispensabili per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, riducendo le emissioni che alterano il clima causate dalla produzione termoelettrica. Permettono infatti di utilizzare in maniera più costante e continua l’energia prodotta dalle rinnovabili, garantendo stabilità, flessibilità e resilienza del sistema elettrico.
Il piano europeo Fit for 55 fissa al 2030 l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di gas serra, rispetto ai livelli del 1990. Secondo le stime ufficiali, per l’Italia questo renderà necessario lo sviluppo di impianti di accumulo per una capacità complessiva di 95 GWh. I primi cantieri sono già stati avviati tra aprile e giugno del 2023 in tutto il territorio nazionale, a seguito dell’ultima asta del Capacity Market 2024 indetta da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale.

I sistemi di accumulo Bess dell’impianto di Lily, in Texas, arrivano a conservare fino a 75 MWh di energia.
© Enel Green Power

Progetti da Nord a Sud. Le regioni italiane attualmente interessate dallo sviluppo dei Bess sono Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lazio, Umbria, Toscana e Sardegna. In questi territori Enel Green Power, società del gruppo Enel impegnata nello sviluppo e gestione di impianti rinnovabili, già nel febbraio 2021 si è aggiudicata, proprio con l’asta Capacity Market 2024, i diritti per realizzare sistemi Bess per più di 1.600 MW, che saranno completati e operativi entro il 2024.

In particolare, circa la metà degli impianti sarà localizzata in Sardegna, cui è stata assegnata una capacità di accumulo in grado di garantire, con fonti rinnovabili, la gestione in sicurezza della rete elettrica anche dopo la dismissione degli impianti termoelettrici e con l’entrata in servizio del Tyrrhenian Link, il nuovo cavo elettrico sottomarino che la collegherà alla Sicilia e alla penisola italiana.
«I Bess che stiamo realizzando», spiegano gli esperti di Enel Green Power, «sono in gran parte collocati nei siti di impianti termoelettrici già dismessi o in procinto di esserlo, e sono quindi un esempio di riuso “circolare” delle infrastrutture e dei terreni già occupati da attività di produzione di energia elettrica».
Nel video sotto, il progetto Bess La Casella a Castel San Giovanni (Pc). Grazie all’innovativo sistema di accumulo a batterie sviluppato in questo sito e alla sua capacità installata di 70 MW è possibile immagazzinare una grande quantità di energia elettrica da distribuire a tutto il territorio garantendo alti standard di sicurezza. (L’articolo prosegue sotto il video)

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Semplici ma complessi. Ma come sono fatti i sistemi di accumulo Bess? Alcune soluzioni, esternamente, si presentano come semplici container, collocati su basamenti di cemento e all’interno dei quali trovano posto armadiature (rack), che contengono i moduli (box), in cui sono a loro volta alloggiate le batterie vere e proprie (celle), vedi infografica sotto. Completano l’installazione i cablaggi che collegano le varie unità, i sistemi di raffreddamento e antincendio, le interfacce per i sistemi di controllo e gli inverter, che trasformano la corrente elettrica continua in uscita dalle batterie in corrente alternata, con le giuste caratteristiche di intensità, tensione e frequenza per l’immissione nella rete.
Ma perché i Bess si integrano così bene con gli impianti solari ed eolici? «In funzione delle necessità del sistema elettrico», spiegano i tecnici di Enel Green Power, «possono essere dimensionati sia per accumulare energia “a breve termine”, resa poi disponibile per controllare la frequenza di rete e per coprire i picchi di domanda, sia per un utilizzo di più lunga durata, accumulando l’energia prodotta in eccesso dalle rinnovabili durante il giorno per restituirla di notte. A differenza degli impianti termoelettrici tradizionali, poi, sono in grado di attivarsi istantaneamente ai comandi degli operatori e del gestore di rete, variando altrettanto rapidamente, quando necessario il proprio profilo di produzione».

La modularità e la flessibilità di utilizzo li rendono quindi perfettamente complementari al fabbisogno di un sistema elettrico in transizione: quando la quota di energia rinnovabile nel sistema è bassa vengono utilizzati per bilanciare istanta­neamente immissioni e prelievi di energia dalla rete, e garantire una riserva per la domanda di picco. Quando invece la produzione rinnovabile eccede il consumo, possono accumulare l’energia in eccesso, che altrimenti verrebbe sprecata, per restituirla al sistema quando le rinnovabili non producono (di notte o quando non soffia il vento).

Viaggio al centro di una batteria Bess.
© Enel Green Power

Una tecnologia matura. Sebbene siano disponibili anche altre tecnologie per realizzare sistemi di accumulo su scala industriale, come i sistemi a piombo-acido, sodio-zolfo, nichel-cadmio e altri ancora, la tecnologia più matura e più diffusa a livello industriale è quella agli ioni di litio, oggi già dominante nel mercato dei piccoli dispositivi domestici o delle auto elettriche.
Nel caso dei Bess parliamo però di applicazioni completamente diverse, in cui l’affidabilità, la scalabilità e le prestazioni istantanee, oltre che le dimensioni (potenza e capacità erogabili), sono al centro della progettazione e dell’ingegnerizzazione. Tutto questo per assicurare a questi sistemi di accumulo prestazioni eccezionali: capacità di stoccaggio maggiore, vita d’esercizio più lunga ed efficienza prolungata nel tempo, anche dopo un gran numero di cicli di carica e scarica.
La tecnologia delle batterie agli ioni di litio, del resto, è ad oggi la più conveniente, con costi di produzione che si sono ridotti di molto negli ultimi anni, grazie anche alla relativa abbondanza di questo elemento in tutto il Pianeta, e al fatto che per realizzarle non occorrono le meno accessibili terre rare, un gruppo di elementi chimici che, anche se utilizzati altrove nell’industria elettrica, non sono necessari per la realizzazione dei Bess. Ce lo confermano gli esperti di Enel Green Power. «In realtà litio e terre rare», spiegano, «non hanno tra loro nulla a che vedere: innanzitutto perché il primo è largamente disponibile in concentrazioni adeguate, al contrario delle seconde. E soprattutto perché le terre rare, a differenza del litio, non sono utilizzate nei Bess».

Il litio, materiale strategico. Quel che è sicuro è che all’Europa servirà molto litio nel prossimo futuro: secondo le stime della società di analisi Benchmark Mineral Intelligence, il fabbisogno di questo materiale per la produzione di batterie crescerà del 300% da oggi al 2030.

Considerando che nel nostro continente si produce meno dell’1% del litio globale, ecco perché la Commissione Europea sta promuovendo l’apertura di nuove miniere, con ben 28 progetti in fase di valutazione, sempre secondo Benchmark Mineral Intelligence, e attivando accordi commerciali con fornitori come Cile, Cina, Australia e altri Paesi africani e dell’America Latina.

Soluzione ecosostenibile. I Bess, poi, hanno molto da dire anche dal punto di vista ambientale e della sostenibilità. Innanzitutto, perché possono favorire la diffusione delle fonti rinnovabili, con un’occupazione di suolo minima: tutti i Bess richiesti per raggiungere i 95 Gigawattora di capacità necessari all’Italia non richiederanno infatti più di 400 ettari, equivalenti a poco più di tre volte l’estensione del parco della Reggia di Caserta.
Inoltre, queste batterie già oggi sono in gran parte riciclabili, e lo saranno ancora di più in futuro, ci assicurano gli esperti di Enel Green Power, grazie all’intenso lavoro di ricerca condotto in tutto il mondo sulle tecnologie e sui materiali utilizzati. «È quindi chiaro che», aggiungono, «i Bess, insieme alle fonti rinnovabili, già oggi la tecnologia di generazione più sostenibile ed economica, potranno garantire una produzione affidabile e continua di energia verde, stabilizzando e mantenendo sicura la nostra rete elettrica grazie alla loro rapidità di intervento e capillarità sul territorio».

Come funziona la centrale idroelettrica di Bargi

Il 9 aprile 2024 nella centrale idroelettrica di Enel Green Power a Bargi, in provincia di Bologna, è avvenuto un incidente il cui bilancio, al momento (10 aprile 2024, ndr) è di 3 morti e 4 dispersi. Oltre allo sgomento causato dalla perdita di vite umane, l’evento ha suscitato in molti anche una certa curiosità su come operino questo tipo di impianti, su quale sia, in particolare, la funzione di quello coinvolto nell’incidente ecc. e altri interrogativi. Proviamo a trovare le risposte.

Perché “energia idroelettrica” uguale “energia pulita”?

L’idroelettrico si basa sulla trasformazione dell’energia posseduta dall’acqua (in movimento, ma anche ferma) in energia elettrica. Per questo viene dunque considerata una forma di energia pulita (perché non vengono bruciati combustibili e dunque non vengono emessi gas serra) e rinnovabile (perché l’acqua di fiumi e laghi, necessaria per il suo “funzionamento”, è una fonte tutto sommato inesauribile). Eppure non manca qualche detrattore che fa notare come anche gli impianti idroelettrici possano avere qualche effetto collaterale (per esempio sugli ecosistemi delle zone circostanti).

Come funziona una centrale idroelettrica? Quanti tipi ci sono?

Esistono tre “famiglie” di centrali idroelettriche: centrali ad acqua fluente, centrali a bacino e centrali ad accumulazione. Le centrali ad acqua fluente sfruttano il flusso naturale di un fiume, che dopo aver messo in movimento le turbine (e i generatori di corrente ad esse collegate), viene reimmessa nel flusso naturale. Nelle centrali a bacino l’acqua di uno o più fiumi si accumula in un bacino, naturale o artificiale (formato da una diga), dopodiché viene fatta cadere e per muovere le turbine ed essere reimmessa nel fiume. Le centrali ad accumulazione o di pompaggio prevedono due bacini a quote differenti: ciò consente di far risalire l’acqua dal bacino più basso a quello più alto quando se ne presenta la necessità (vedi sotto).

Ecco lo schema di una generica centrale idroelettrica.
© Focus

Cos’ha di particolare la centrale idroelettrica di Bargi?

La centrale elettrica di Bargi è una di quelle che, oltre alla generazione di energia elettrica, può provvedere al “pompaggio”: in caso di necessità può cioè trasferire l’acqua dal bacino più basso (il lago di Suviana) a quello più alto (il Brasimone, che si trova 384 metri più su) al quale è collegato attraverso una condotta. In questo modo la “stessa acqua” che ha già generato energia può tornare disponibile per produrre nuovamente elettricità quando la richiesta è maggiore. Il pompaggio avviene ovviamente quando c’è meno richiesta di energia, in genere di notte, mentre durante di giorno l’impianto funziona in modalità “generatore”.

Un po’ di storia: quando è nata la centrale?

L’impianto di Bargi, che si trova sull’appennino bolognese ai confini con la Toscana, fu realizzato nel 1975. In realtà consiste nell’insieme di sei centrali che sfruttano due bacini artificiali: il lago di Suviana, alimentato da un torrente e formato da una diga alta 91,5 metri costruita nel 1932 dalle Ferrovie dello Stato (l’azienda da cui poi è nata l’attuale Trenitalia) per fornire energia alla linea ferroviaria Bologna-Firenze, e il lago Brasimone, alimentato da torrenti minori e le cui acque sono trattenute da una diga alta 40 metri costruita a inizio Novecento. L’incidente sarebbe avvenuto in prossimità di una turbina, all’ottavo piano interrato, a circa 40 metri di profondità.

Quanto è importante la centrale idroelettrica di Bargi?

Si tratta dell’impianto con la maggiore potenza unitaria dell’Emilia Romagna (330 MW). È collegato alla rete nazionale attraverso una stazione ad alta tensione che si trova a 700 metri dalla centrale stessa. L’impianto fa parte del piano di riaccensione della rete nazionale: in caso di black out è in grado di erogare la sua massima potenza entro 4 minuti.

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