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A che cosa ci serve il tatto?

Se ci venisse chiesto a quale dei cinque sensi non vorremmo rinunciare la maggioranza di noi risponderebbe la vista, magari l’udito. Qualcuno, “scottato” dall’esperienza del Covid-19 che a molti ha tolto più o meno a lungo la capacità di sentire gli odori, forse non farebbe a meno dell’olfatto e i più golosi magari non potrebbero vivere senza il gusto. Pochi però affermerebbero di non poter rinunciare al tatto, considerato da tanti il più basico dei sensi. È il primo che sviluppiamo dalla nascita (e perfino prima, nel pancione) e l’ultimo che abbandoniamo con la morte, forse proprio per questo è l’unico che serve per dirci davvero vivi: senza, per un mucchio di ragioni, vivere sarebbe parecchio difficile.

Un senso da nobel. Ne sono convinti gli scienziati, che dopo aver considerato a lungo il tatto una “cenerentola dei sensi” hanno iniziato a studiarlo con maggiore attenzione, tanto che nel 2021 il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina è andato proprio ai due scopritori dei recettori del tatto e della temperatura, David Julius e Ardem Patapoutian. Toccare infatti non significa solo accorgersi se una coperta è morbida o ruvida, se uno spigolo è tagliente o arrotondato: lo diamo per scontato finché non ci si intorpidisce una mano, un piede, una gamba ma è dalla “somatocezione”, nome scientifico per indicare il tatto, che passa la capacità di sentire temperatura, pressione, dolore, vibrazioni e pure la nostra posizione nello spazio. È con il tatto che capiamo se siamo coi piedi ben piantati per terra o instabili, se stiamo tenendo la tazzina di carta del distributore automatico del caffè abbastanza saldamente da non rovesciarcelo addosso, ma senza stringere tanto da romperla e ottenere lo stesso risultato; senza il tatto non potremmo camminare, ma neppure star seduti.

Il potere della pelle. L’organo principale del tatto è la pelle, che con un’estensione che arriva a due metri quadri e un peso di circa cinque chili è il più grande del nostro organismo: letteralmente disseminata di miliardi di recettori per accorgersi di tutto quel che ci sfiora, «è il nostro confine fisico ma anche mentale col resto del mondo e il primo, più importante mezzo per esplorarlo», spiega Laura Crucianelli, che studia il tatto al Brain, Body and Self Laboratory del Dipartimento di Neuroscienze del Karolinska Institute di Stoccolma. «Il tatto ci permette di svolgere attività fondamentali per la sopravvivenza: mangiare, muoverci, mantenere l’equilibrio, prenderci cura di noi e degli altri ed è perciò fondamentale anche nella relazione con il prossimo e con il mondo circostante».

Autocarezze nel pancione. Il tatto è importante perfino prima di nascere: già dalla 7a settimana di gestazione il feto è in grado di rispondere a stimoli tattili a livello della bocca e dei palmi delle mani. A quattro mesi il feto è coperto da una lanugine sottile che sembra poter amplificare le sensazioni piacevoli che prova facendosi cullare dal liquido amniotico, a sei mesi la sua pelle è capace di sentire il tocco di una carezza e proprio le percezioni tattili contribuiscono al corretto sviluppo del cervello. Poco dopo riesce perfino a “rispondere” al tocco della mamma sul pancione: attraverso ecografie tridimensionali in tempo reale nel secondo e terzo trimestre di gravidanza ricercatori dell’Università di Dundee, in Scozia, hanno dimostrato che dal sesto mese il feto si tocca di meno quando la mamma si accarezza il pancione rispetto a quando non lo fa o è un estraneo a metterci la mano sopra. Già prima di nascere in altri termini abbiamo bisogno di essere toccati da chi ci ama, quando non succede cerchiamo di sopperire con le auto-carezze.

La terapia del canguro. «Il contatto pelle a pelle alla nascita è fondamentale per la sopravvivenza del neonato», conferma Crucianelli. «Siamo uno dei pochi animali a nascere prematuramente, non possiamo nutrirci, non possiamo controllare la nostra temperatura corporea, non possiamo lavarci. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci assista costantemente per sopravvivere, ma non ci si può prendere cura dell’altro senza toccarlo». Tanto che la cosiddetta “terapia del canguro”, in cui il neonato viene messo a contatto più a lungo possibile, pelle contro pelle, con la mamma o anche il papà, è considerata oggi una cura per i bambini nati prima del termine. Uno studio dell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Maggiore di Milano per esempio ha dimostrato che impiegandola già dalle prime ore di vita, o appena possibile, la terapia del canguro accelera l’acquisizione della capacità di nutrirsi da soli e quindi di essere allattati al seno, inoltre può ridurre i danni cerebrali e ha effetti positivi sull’accrescimento e sul comportamento, perfino sul quoziente intellettivo misurato a vent’anni di distanza.

«La stretta prossimità madre-figlio è sempre positiva e pure la donna ne trae beneficio, visto che così si può ridurre il rischio di depressione post-partum», sottolinea Claudio De Felice, neonatologo del Policlinico Universitario Le Scotte di Siena.

«Il contatto materno-infantile è un tratto conservato in tutti i mammiferi, perciò a qualcosa dovrà pur servire». Per esempio, anche ad allenare l’empatia, come ha dimostrato un esperimento su neonati di sette mesi dell’Università di Washington (Usa): proprio il tatto insegna loro a riconoscere le parti del corpo, prima ancora di poterle nominare, facendo capire che l’altra persona è “come me” e aprendo la strada a comprenderne le emozioni.

Cosa succede senza tatto. Anche da adulti, il tatto non smette di essere fondamentale. Basti pensare a Ian Waterman, un diciannovenne che per una reazione anomala a un’infezione lo ha perso dal collo in giù: Chris Miall, dell’Università di Birmingham (Uk), ha raccontato la sua storia e rivelato che per esempio pur essendo tecnicamente in grado di muovere i muscoli Ian non riusciva a farlo in maniera volontaria né aveva idea di dove fossero i suoi arti. Ha impiegato due mesi a imparare di nuovo a star seduto facendo affidamento sugli altri sensi, per alzarsi in piedi gli ci è voluto un anno e mezzo. «Non saper gestire la propria posizione nello spazio è una condizione pericolosa, ma la capacità di adattamento dell’uomo è sorprendente», dice Miall, che ha messo a confronto le performance di Ian nell’orientamento spaziale con quelle di Kim, una ragazza nata senza le fibre sensoriali tattili, osservando che i risultati dei due sono oggi simili. Ma mentre al ragazzo occorre uno sforzo consapevole, per Kim tutto è più intuitivo perché ha sempre dovuto sfruttare gli altri sensi per sapere dove si trova.

Vivere senza “sentire”. Si tratta di due casi limite, perché, come spiega Crucianelli, «la perdita anche solo parziale del tatto è rara: nel caso di neuropatie possono essere danneggiate fibre tattili specifiche e per esempio si può avere difficoltà a identificare la parte del corpo toccata oppure non si riesce a percepire se una sensazione sia dolorosa o piacevole, calda o fredda. Una disfunzione tattile può essere anche risultato di lesioni del midollo spinale; esistono pure casi in cui la percezione c’è ma è alterata, come l’allodinia in cui stimoli innocui vengono percepiti come dolorosi». Per avere un assaggio di come potrebbe essere vivere senza “sentire” il mondo basta pensare a quel che ci succede al viso dopo un’anestesia dal dentista: mangiare diventa un’impresa, una carezza sulla guancia lascia indifferenti.

Comunicazione non verbale. Il tatto non è solo toccare il mondo per orientarsi, ma anche un potente mezzo di comunicazione, tanto che esiste una “percezione tattile affettiva” elaborata in aree cerebrali come l’insula, correlata alle emozioni. L’espressione “riconoscersi a pelle” non è insomma campata in aria, perché toccando l’altro “parliamo”: Crucianelli ha dimostrato che riusciamo a capire le intenzioni altrui in base a come veniamo toccati e anche che «persone non vedenti hanno una percezione tattile più acuta dei vedenti tale da consentire loro di esplorare il mondo, ma anche di percepire la vicinanza emotiva e il supporto sociale dell’altro. In vari disturbi psichiatrici, inoltre, si riscontrano difficoltà o alterazioni nella percezione affettiva del tatto associate a difficoltà nelle relazioni sociali: succede nell’anoressia nervosa o nei disturbi dello spettro autistico, in cui c’è una preferenza per il tatto “contenitivo”, come quello percepito con un abbraccio, ma si può mostrare intolleranza per le carezze».

Senza il tatto insomma ci perderemmo molto del conforto e del benessere che deriva dallo stare con gli altri e che talvolta ha pure effetti sorprendenti sulle performance: Dacher Keltner, docente di psicologia dell’Università della California a Berkeley (Usa), ha scoperto che le squadre di basket Nba in cui i giocatori si abbracciano e si toccano di più, vincono più spesso. Non è però questo il vantaggio più importante del tocco altrui: psicologi dell’Università della Virginia (Usa) hanno osservato per esempio che se il partner ci accarezza quando siamo esposti a uno stimolo fastidioso, come un rumore forte, lo stress e l’attivazione di aree cerebrali connesse al senso di minaccia dimi­nuiscono. Lo psicologo statunitense Robert Kurzban ha spiegato inoltre che basta un tocco gentile per far propendere alla cooperazione i partecipanti al test del “dilemma del prigioniero” in cui si deve decidere se collaborare o competere con gli altri per ottenere una somma di denaro.

Il benessere psicofisico delle carezze. Il tatto perciò facilita la coesione sociale (del resto, i nostri cugini primati passano gran parte del loro tempo a spulciarsi l’un l’altro proprio per rinsaldare i legami), anche perché la natura lo ha reso molto gratificante e piacevole: quando veniamo toccati con gentilezza si riducono frequenza cardiaca, pressione e cortisolo, l’ormone dello stress, e si produce ossitocina, un ormone che tranquillizza facendoci sentire in pace col mondo. Con le mani e il corpo quindi comunichiamo non solo a gesti, ma attenzione a come lo facciamo perché, come scrive Margaret Atwood nel suo romanzo L’assassino cieco, il tatto “è la prima lingua e l’ultima, e dice sempre la verità”.

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I numeri più curiosi del corpo umano

Il Tatto: Schede Didattiche per la Classe Prima

L’insegnamento delle scienze ai bambini nella classe prima è un compito affascinante e importante. Stimolare la loro curiosità e interesse per il mondo che li circonda è fondamentale per la loro crescita intellettuale e per lo sviluppo di competenze cognitive fondamentali. Una delle aree di apprendimento cruciali è lo studio del tatto.
Nel corso di questo articolo, esploreremo una serie di schede didattiche appositamente create per insegnare ai bambini della classe prima i concetti legati al senso del tatto.
A fine articolo potrete scaricare gratuitamente in formato PDF “Il Tatto: Schede Didattiche per la Classe Prima, Scienze per bambini“.
L’Importanza dello Studio del Tatto
Il tatto è uno dei cinque sensi fondamentali, insieme alla vista, all’udito, all’olfatto e al gusto. Attraverso il tatto, i bambini possono esplorare il mondo fisico che li circonda in modi unici. Comprendere come funziona il senso del tatto e come ci aiuta a comprendere il mondo è un passo importante nello sviluppo delle loro abilità cognitive. Le schede didattiche che presentiamo qui sono progettate per aiutare i bambini a esplorare il mondo del tatto in modo divertente e coinvolgente.
Schede Didattiche per il Senso del Tatto

Introduzione al tatto: Questa scheda offre una panoramica del senso del tatto, spiegando come funziona e perché è importante. Gli insegnanti possono utilizzare immagini e illustrazioni per rendere il concetto più accessibile ai bambini.

Esperimenti tattili: Le attività pratiche sono fondamentali per l’apprendimento dei bambini. Questa scheda presenta una serie di semplici esperimenti che coinvolgeranno i bambini nel toccare e esplorare oggetti con texture diverse.

Giochi tattili: Il gioco è un modo efficace per imparare. Questa scheda presenta giochi divertenti che coinvolgeranno i bambini nel riconoscere e descrivere diverse sensazioni tattili.

Animali e il tatto: Questa scheda consente ai bambini di esplorare il mondo animale e scoprire come diverse creature utilizzano il senso del tatto per sopravvivere e interagire con il loro ambiente.

Il corpo umano e il tatto: Qui, i bambini possono esplorare il senso del tatto all’interno del corpo umano, imparando come la pelle e i recettori nervosi lavorano insieme per trasmettere informazioni al cervello.

Conclusioni
In conclusione, l’insegnamento delle scienze ai bambini nella classe prima può essere una sfida emozionante. Utilizzando le schede didattiche dedicate al senso del tatto e seguendo i suggerimenti per l’apprendimento efficace, è possibile creare un ambiente di apprendimento stimolante e divertente. L’apprendimento delle scienze è un viaggio entusiasmante che può aprire le porte a nuove scoperte e avventure, preparando i bambini per un futuro di apprendimento continuo.

Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF “Il Tatto: Schede Didattiche per la Classe Prima, Scienze per bambini” (PASS), basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:

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