Il viaggio nel ghiaccio di Alex Bellini
Mentre leggete queste righe, magari comodamente seduti sul divano, dall’altra parte del mondo l’esploratore Alex Bellini è appena partito per percorrere in bicicletta 1.800 chilometri lungo l’antica rotta che collega Anchorage, la più importante città dell’Alaska, al villaggio di Nome. Terra di slitte trainate da cani, di antichi cercatori d’oro e di cacciatori, questa regione è cruciale per gli equilibri climatici del pianeta.
L’impresa in Alaska è parte del progetto Eyes on Ice (occhi sul ghiaccio), che prevede in tutto tre spedizioni nelle regioni polari e subpolari, allo scopo di testimoniare la loro bellezza e la loro fragilità.
Il prossimo anno, Alex percorrerà la Groenlandia sugli sci mentre nel 2026, sempre sugli sci, tenterà di raggiungere il Polo Nord geografico.
In questa prima missione l’esploratore italiano viaggia con l’amico di infanzia Alessandro Plona, sportivo appassionato di mountain bike, di sci alpinismo.
L’articolo prosegue sotto la diretta prepartenza
Grande amico di Focus, Alex è stato ospite al Focus Live lo scorso novembre. Lo abbiamo incontrato prima della partenza.
Qual è l’obiettivo del progetto Eyes on Ice?
Il progetto Eyes on Ice ha lo scopo di far conoscere l’importanza e la fragilità delle regioni polari e subpolari, che svolgono un ruolo chiave nella regolazione del clima della Terra, conservano una biodiversità unica, e danno sostentamento a milioni di persone. È stato ideato da mia moglie Francesca, che da oltre 15 anni mi stimola ad alzare gli occhi dall’esplorazione fine a se stessa e ad attribuirle un senso più ampio. Il progetto prevede tre spedizioni in Alaska, Groenlandia e al Polo Nord: aree fondamentali per il pianeta, su cui però le persone hanno idee molto vaghe. Per esempio, tutti sanno che qui ci sono gli orsi, ma la straordinaria biodiversità di queste zone è invece poco nota. L’esplorazione e l’avventura possono creare occasioni per sensibilizzare su questi argomenti, nella speranza di contribuire alla salvaguardia dei territori.
La prima tappa sarà l’Alaska, che percorrerai su una speciale bicicletta. Perché l’hai scelta?
Nel 2002 e nel 2003 ho fatto due traversate a piedi in Alaska e ci ho lasciato un pezzo di cuore. Ora vado a riprendermelo. Venti anni fa avevo uno scopo diverso: avevo bisogno di capire quale fosse il mio posto nel mondo e quel viaggio mi aveva permesso di guardarmi da punti di vista diversi.
Ora cambia il mezzo ma soprattutto l’obiettivo. L’Alaska congiunge le regioni artiche e subartiche e ciò che accade qui ha conseguenza anche latitudini più meridionali. Questa regione si scalda circa 3 volte più rapidamente della media globale. Il ghiaccio marino si sta ritirando e le coste, non più protette, vanno incontro a fenomeni di erosione. Inoltre si sta sciogliendo il permafrost e questo fenomeno sprigiona metano, che è un potente gas serra, e libera i microrganismi che potrebbero portare malattie. L’Alaska è insomma una regione particolarmente colpita dal cambiamento climatico e mi aspetto quindi di trovare evidenze di quello che sta accadendo, che ha conseguenze molto profonde anche sulle popolazioni.
I circa 1.800 km che Alex Bellini e Alessandro Plona stanno percorrendo in bicicletta. Il percorso è quello della Iditarod race, la corsa dei cani da slitta che si tiene ogni anno in ricordo della vicenda del cane Balto. Lungo questa tratta, nota fin dall’antichità, si muovevano anche i cercatori d’oro.
Partirai da Anchorage per arrivare a Nome. Perché questo percorso?
Il percorso è quello che feci 20 anni fa ed è lo stesso della Iditarod race, famosa corsa dei cani da slitta che si tiene ogni anno a marzo, ispirata alla vicenda del cane Balto, del 1928. In quell’anno, il villaggio di Nome fu colpito da un’epidemia di difterite e 10 gruppi slitte trainate da cani fecero una staffetta per far arrivare il vaccino da Nenana (a nordest di Anchorage) salvando la popolazione. Il percorso, di circa 1.800 km, è stato usato fin dai tempi antichi per caccia e commerci. Su questa stessa rotta inoltre si muovevano i cercatori d’oro a fine ‘800. Iditarod significa “posto molto lontano” nella lingua delle popolazioni native. E lo è davvero. È un luogo selvaggio, ma con alcuni insediamenti ancora abitati, nati per soddisfare i bisogni di chi viaggiava su questa rotta.
La bicicletta Impact è stata progettata ad hoc per questa impresa. Quali caratteristiche la rendono diversa da altre mountain bike?
Impact è una fatbike con pneumatici molto più larghi rispetto alle mountain bike, che permettono una facile guida fuoristrada, specie in terreno sconnessi, come può essere la neve o la sabbia. È stata studiata e progettata sulla base dei nostri bisogni da un collettivo di ingegneri e designer dei materiali con sede in Valtellina e in provincia di Milano. Per esempio dovendo caricare molta attrezzatura, Impact ha vani di carico interni al telaio che evitano di creare appendici per borse e borsoni. Il telaio è stampato in 3D ed è in plastica (policarbonato) riciclata; può essere sminuzzato e riciclato a sua volta fino a 5 volte, senza perdere le caratteristiche di resistenza, durabilità e resistenza alla torsione.
Alla fine di questo viaggio ne ricaveremo il materiale per produrre la slitta con cui viaggerò in Groenlandia e al Polo. Si tratta di una novità assoluta per le biciclette. In futuro i genitori che devono acquistare nuove bici via via che i bambini crescono potranno sminuzzare il telaio della vecchia bici e ristamparne uno nuovo, un po’ più grande, con l’aggiunta di poco materiale.
Il prossimo anno sarà la volta della Groenlandia, che percorrerai per 2.600 km sugli sci, mentre nel 2026 raggiungerai il Polo Nord geografico, sempre sugli sci, partendo dal Canada. Quali sono gli obiettivi di queste future tappe?
L’obiettivo è lo stesso: usare la forza dell’esperienza dell’esplorazione per fare informazione e divulgazione. Io mi sento un esploratore nell’anima e l’esplorazione è la cosa migliore che riesco a fare per me e per le altre persone. In questo matrimonio fra divulgazione e avventura do un nuovo senso al mio mestiere, che è non più finalizzato solo a me stesso ma anche al pubblico che mi segue.
Questo ti rende diverso da altri esploratori, che sono magari più concentrati su di sé e sulla propria esperienza?
Credo che sia una questione di maturazione. Anche io sono stato molto concentrato su di me quando ho iniziato questa attività, a poco più di 20 anni. In questi 22 anni sono molto maturato e ho sciolto alcuni nodi personali. Questo mi ha permesso di alzare lo sguardo e scoprire che ci sono mille e più ragioni per esplorare e la conoscenza di sé non è l’unica.
Alex Bellini con Alessandro Plona, sportivo appassionato di mountain bike e di sci alpinismo, sulle Alpi durante la preparazione della loro spedizione.
© Giacomo Meneghello
In che cosa le avventure in Groenlandia e al Polo Nord saranno diverse da quella dell’Alaska?
C’è un primo aspetto di difficoltà tecnica. L’Alaska è più semplice e non ci sono rischi. La Groenlandia è già più complicata anche perché è molto lunga. La attraverserò da sud a nord con la slitta e gli sci e probabilmente con il un supporto di un kite per potermi muovere più velocemente. I crepacci rappresentano un rischio e poi c’è l’orso… Speriamo di essere fortunati…
Al Polo è ancora peggio. Sempre meno ghiaccio resiste negli anni e tutto quello che si forma è ghiaccio nuovo, non solido, non compatto e sottile.
Questo ha pregiudicato in passato altre spedizioni. Lo scorso anno sono state tutte cancellate perché i soccorritori non sarebbero riusciti ad atterrare in caso di emergenza. Di anno in anno possono esserci fluttuazioni, in meglio o in peggio. Spero in una buona stagione nel 2026. Per affrontare queste sfide progetteremo una slitta che possa essere usata anche come zattera e kayak, così da poter navigare attraverso i corridoi di acqua libera che si possono formare anche in pieno inverno.
In tante spedizioni negli anni hai documentato l’impatto delle attività umane sugli ambienti e gli ecosistemi. Quali aspetti ti hanno colpito maggiormente?
C’è purtroppo un generale disinteresse per il futuro del pianeta: le persone hanno attenzione e occhi rivolti al momento presente. E po c’è una credenza, trasversale alle diverse culture, classi sociali e fedi religiose, secondo cui il pianeta sa prendersi cura di sé o che qualcuno verrà a salvarci. Dovremo invece essere noi salvarci e per farlo dobbiamo prenderci cura del pianeta e guardarlo come un sistema unico. Però fatichiamo a pensare che sia tutto interconnesso e ci illudiamo di essere in un mondo fatto di isole, in cui il benessere del pianeta è separato dal nostro. In realtà viviamo in una rete in cui tutto e interconnesso: tutto ciò che consumiamo è prodotto dalla natura, e tutto ciò che noi produciamo consuma la natura. La prima transizione ecologica, più che industriale ed economica, deve essere culturale. Dobbiamo introiettare questi concetti.
Alla fine del 2023 sei anche stato protagonista di un’impresa un po’ diversa dalle altre, che, in collaborazione con la Fondazione Avsi, ti ha portato in Mozambico, per documentare i flussi migratori che dal Sud raggiungono il Nord. Che cosa ti porti dietro da quel viaggio?
Mi porto a casa uno scambio di battute con un uomo di Pemba, città a Nord del Mozambico, che ospitava una famiglia intera, fuggita da un villaggio attaccato da guerriglieri. Considerando la povertà della sua vita (viveva con la famiglia in una capanna di fango) gli ho chiesto che cosa lo avesse spinto a farlo, e lui ha detto soltanto che avevano bisogno di aiuto e loro glielo hanno dato. È un pensiero molto semplice che mi ha fatto però riflettere su un’altra separazione che riguarda noi occidentali.
La nostra idea di individuo viene prima di quella di comunità; abbiamo perso il senso di esistere come collettività. Ho la sensazione invece che in Mozambico, ma anche presso altre popolazioni povere che ho visitato, l’idea della collettività venga prima di quella di individuo.
Continua la lettura su: https://www.focus.it/ambiente/ecologia/il-viaggio-nel-ghiaccio-di-alex-bellini Autore del post: Focus Rivista Fonte: http://www.focus.it