La vita e il pensiero di Piero Angela. Raccontate da lui

“Questo è probabilmente l’ultimo libro che scrivo. Non pensavo di farlo, ma poi ho riflettuto che forse ne valeva la pena”.

Inizia così la prefazione di “La meraviglia del tutto – Conversazione con Massimo Polidoro”, l’ultimo libro – uscito postumo per Mondadori – di Piero Angela. Che prosegue poco dopo:

“Infatti, finora ho scritto libri sulla scienza (e dintorni), cercando di spiegare agli altri ciò che capivo incontrando scienziati e ricercatori. Adesso vorrei dire anch’io quello che penso, le domande che mi pongo, le cose che ho compreso su tanti argomenti, inclusa la stupidità che ho visto in giro. Esprimerò la mia opinione, su molti argomenti sarà la prima volta, ma anche le sensazioni che provo di fronte a certi fatti. È un libro che forse voglio scrivere per me stesso, oltre che per i lettori. Vedremo che cosa ne verrà fuori, ancora non lo so. Ho scelto la forma dell’intervista perché permette di essere più spontanei. In fondo, già nell’antichità i filosofi avevano capito che il dialogo può essere una forma di trattazione particolarmente efficace per discutere di tematiche complesse in maniera più diretta. Anche perché è così che, nel corso della vita, ci facciamo un’idea del mondo intorno a noi, attraverso dialoghi e non monologhi. Ponendo domande si può giungere più rapidamente al nocciolo della questione, senza girarci troppo intorno, con quella naturalezza che può aiutare a illuminare i punti oscuri. Per questo, a parlare con me, ci sarà un intervistatore particolare: Massimo Polidoro”.

In oltre 500 pagine (che si leggono come fossero post di Instagram o di un qualsiasi altro Social Network) Piero Angela risponde a una lunghissima sfilza di domande di Polidoro su moltissimi aspetti della sua vita, del suo lavoro e delle sue passioni, regalandoci il suo pensiero, molte curiosità, aneddoti sorprendenti e perle di saggezza. “Una vera enciclopedia dei suoi pensieri” hanno scritto i figli Christine e Alberto.

Come tutti gli appassionati di scienza dobbiamo molto a Piero Angela. Focus in particolare deve moltissimo, per avere imparato da lui il metodo di raccontare il sapere e per averlo avuto come membro del comitato editoriale che nei primi anni di vita di Focus vigilava e indirizzava il nostro lavoro. Con fatica abbiamo scelto un breve estratto del libro che vi proponiamo qui sotto.

E allora, ben venga la divulgazione! Anche se, comunque, ci sono ancora dei pregiudizi. C’è, per esempio, chi pensa che siccome il termine “divulgazione” contiene al suo interno la parola latina vulgus, cioè, volgo, popolo, inteso però da costoro in senso dispregiativo, si rivolga esclusivamente alla massa di persone poco istruite.

Non è così. Divulgare significa diffondere idee, modi di pensare, che un po’ alla volta prendono piede e diventano cultura. La divulgazione mira a far capire le cose a persone (anche coltissime) che non hanno la competenza necessaria. Un avvocato che parla a un biologo, che linguaggio dovrà usare? Quanto ne sa di giurisprudenza un biologo? Magari solo quel poco che ha studiato a scuola, quindi ha soltanto qualche vaga nozione, imparata molto tempo prima e spesso ormai obsoleta. Con lui, quindi, l’avvocato dovrà usare un linguaggio estremamente divulgativo, come quello, dicevo prima, che si userebbe con un ragazzo sveglio di 15 anni. Ma lo stesso dovrà fare un fisico che parla con un direttore d’orchestra, un critico d’arte che parla a un genetista… e viceversa. Possiamo cioè essere anche molto competenti nel nostro campo, ma non significa che lo siamo necessariamente in altri. Ecco perché tutti abbiamo bisogno di buona divulgazione.

Credi sia un pregiudizio specifico del nostro paese?

Ti dico solo una cosa: è indubbio che nei paesi anglosassoni la scienza gode di maggiore considerazione, e che le istituzioni si impegnano di più nel promuovere e sostenere la ricerca, con i risultati che tutti conosciamo. Ebbene, qualcuno può credere che una situazione di questo tipo nasca dal nulla? No, è il frutto di una cultura che si è diffusa nel corso del tempo, anche grazie a ottimi divulgatori.

Un esempio è quello del famoso chimico inglese Michael Faraday, vissuto nella prima metà dell’Ottocento. Oltre alla ricerca in laboratorio, Faraday teneva abitualmente conferenze pubbliche affollatissime, non solo per spiegare le proprie scoperte (e quelle altrui), ma soprattutto per avvicinare un pubblico più vasto al mondo della scienza. Aveva capito in anticipo quanto fosse importante diffondere cultura scientifica nella società civile, in particolare presso i giovani: addirittura, ogni Natale, organizzava incontri riservati solo a loro. Un’idea di grande modernità, che davvero dimostra quanto ritenesse importante fertilizzare le piante giovani, per fare germogliare e crescere l’amore per la scienza. Inoltre, cercava di far capire l’importanza della ricerca e delle sue applicazioni nello sviluppo della società: cosa importantissima per creare un clima favorevole (anche politicamente) al lavoro dei ricercatori. Per non parlare del suo ruolo nel contrastare i fenomeni pseudoscientifici…

È vero! Fu lui, per esempio, a dimostrare per primo che a muovere il tavolino nelle sedute medianiche non erano gli spiriti, come si credeva, ma molto spesso erano, senza rendersene conto, gli stessi partecipanti, attraverso il meccanismo, allora pressoché sconosciuto, dei movimenti muscolari involontari. In effetti, l’impegno divulgativo di Faraday è encomiabile. Soprattutto perché non faceva parte del suo lavoro, era un “extra”, per così dire. Da che cosa nasceva questo suo impegno?

Mi viene da pensare che il desiderio di raccontare la scienza, e di farlo in maniera chiara e comprensibile, doveva affondare le radici nella storia personale di Faraday: un autodidatta che a 12 anni lavorava come fattorino. In un certo senso si sentiva probabilmente molto vicino al pubblico che veniva ad ascoltarlo, si immedesimava in quei ragazzi che cercavano di capire le meraviglie della scienza. E raccontava le cose che lui stesso avrebbe voluto sentire quando aveva la loro età, quando da solo cercava di arrampicarsi sulle scarpate del sapere.

Non è un caso se in Inghilterra ci sono alcuni dei più bei musei della scienza del mondo! E non solo, questo paese possiede anche un’editoria scientifica ricchissima e di primissimo livello: “Nature”, “The Lancet”, il “British Medical Journal”, per citare solo tre di quelle che sono considerate tra le più influenti riviste scientifiche del mondo, sono inglesi.

I programmi televisivi di divulgazione sono qualitativamente ottimi: la BBC possiede addirittura un centro appositamente dedicato alla produzione di documentari scientifici, con terrari, acquari, laboratori per riprese speciali e così via. Faraday ne sarebbe orgoglioso!

L’altro pregiudizio è quello secondo cui traducendo un’idea per divulgarla si perda molto rispetto all’originale.

Be’, certamente scalare il Cervino non è come leggere il racconto di uno che ci è andato. Solo che così il problema è mal posto, è fuorviante, perché allora dovremmo chiederci: va bene, ma chi è in grado di salire sul Cervino? Chi è in grado cioè di leggere gli originali? Pochi, se non pochissimi, e ciascuno può farlo solo nel proprio ristretto ambito di specializzazione. Gli altri, che sono la maggioranza, resta 196no tagliati fuori. È ovvio che un paper, un articolo di ricerca, è diverso da un articolo divulgativo, ma non è vero che il secondo sia la brutta copia del primo: i destinatari sono diversi e, dunque, diversi devono essere il linguaggio e la creatività necessari per realizzarli.

Quindi, se la prima regola è farsi capire, qual è la seconda?

Trovare il modo di accendere la curiosità dell’interlocutore. Alla scienza per tanto tempo è stato imposto un abito che incute un esagerato rispetto, una deferenza eccessiva. Io mi sono chiesto: perché non provare a vestirla con un attraente modello a colori, semplice ed elegante? Magari con un ritocco al maquillage. L’indossatrice è sempre la stessa, ma è mutato il suo appeal.

Se la scienza è come una vecchia zia, chi lo ha detto che le vecchie zie debbano sempre essere antipatiche e pedanti? Rendiamola amica, socievole, spassosa questa cara vecchia zia!

E dunque, come si trasforma la rigida zia March di Piccole donne in Mary Poppins?

Rendendosi conto, prima di tutto, che non basta essere chiari, bisogna anche essere interessanti. Nella mia vita ho fatto tantissima televisione e il mio obiettivo è sempre stato quello, per l’appunto, di interessare lo spettatore, coinvolgerlo, attrarlo e (perché no?) divertirlo. D’altronde, lo sapevano già anche i nostri antenati, quando dicevano ludendo docère, cioè “insegnare divertendo”, insegnare mediante il gioco, suscitando interesse, perché il gioco è un’attività piacevole e gratificante. Se guardi i bambini che giocano, ti accorgi che in quel momento non si annoiano per niente. Stanno attenti, partecipano, hanno per così dire il cervello “acceso”. Ecco, bisogna trovare il modo di accendere i cervelli delle persone quando ascoltano o leggono un testo divulgativo (ma anche sul lavoro o a scuola), perché è nelle situazioni in cui ci si “diverte” (nel senso che si prova interesse per quello che si sta facendo) che si impara facilmente. E si è incoraggiati a continuare.

Solo che ogni spettatore è unico, ha formazione, sensibilità, psicologia, cultura diverse…

Infatti, il difficile è proprio trovare denominatori comuni che permettano a persone tanto differenti di essere incuriosite tutte da uno stesso programma. Il rischio che spesso si corre è quello di rivolgersi unicamente a un pubblico che ha le stesse affinità culturali di chi diffonde il messaggio. Ma se un economista si rivolge solo ai suoi simili, il letterato idem, e così lo scienziato, il critico d’arte o il sociologo, ciascuno finirà per parlare solo alla propria nicchia, al proprio piccolo gruppo di amici, escludendo però in questo modo la maggioranza del pubblico. Detto questo, è pur vero che esistono anche testi, che in apparenza sembrano noiosi e poco coinvolgenti, capaci però di creare interesse: un tributarista, per esempio, leggerà con molta attenzione le nuove norme che modificano il pagamento dei contributi, un fisico divorerà la versione originale dell’ultima ricerca sul bosone di Higgs, un matematico si divertirà a leggere un articolo sulla storia dei numeri primi… Ciascuno, insomma, può provare interesse per le notizie che riguardano il campo nel quale è competente.

Ma il problema del divulgatore è un altro, come dicevamo: quello di suscitare curiosità e partecipazione in un pubblico molto differenziato per livello educativo, competenze, interessi.

E allora come si accende la curiosità dei più?

È piuttosto facile farlo con un programma di svago o di intrattenimento, con un film, un romanzo o anche con un programma sportivo. Il difficile è riuscirci con un contenuto di informazione culturale. Dicevamo prima che bisogna usare un linguaggio che stia dalla parte del pubblico. E quindi, certamente, servono esempi, aneddoti, metafore, racconti… Ma con il termine “linguaggio” non dobbiamo intendere solo le parole, bensì un modo di esprimersi più semplice e chiaro, che faccia ricorso a qualunque strumento disponibile, a partire dalle immagini. In televisione, soprattutto, bisogna sempre disporre di immagini in movimento che siano pertinenti, chiare e interessanti. Sai come l’ho capito?

Come?

Ricordandomi di una cosa che mi avevano raccontato da ragazzo, parlandomi di don Bosco. Quando cercava di diffondere il catechismo faceva i giochi di prestigio, si metteva a fare l’equilibrista sul filo, e i ragazzi correvano a vederlo perché si divertivano e a quel punto lui rifilava loro il catechismo. È da lì, credo, che viene l’idea di inserire dei piatti appetitosi (cartoni animati, documentari sugli animali, candid camera…) per far passare idee, concetti e anche altri contenuti meno appetitosi, ma ricchi di “vitamine”. Sono come dei cavalli di Troia, belli, intagliati alla perfezione, strani e curiosi, che vengono accolti con facilità e conquistano senza fatica la mente dello spettatore. E dalla loro pancia escono poi tanti semi sperabilmente utili: idee, concetti, informazioni…

© Mondadori Libri, 2024

Continua la lettura su: https://www.focus.it/scienza/scienze/la-vita-e-il-pensiero-di-piero-angela-raccontate-da-lui Autore del post: Focus Rivista Fonte: http://www.focus.it

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