Ora negli Usa l’aviaria è passata alle mucche

La notizia è di quelle che non avremmo mai voluto sentire: il dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha confermato che l’influenza H5N1, comunemente nota come aviaria, ha compiuto un salto di specie ed è passata per la prima volta dagli uccelli alle mucche, con un numero imprecisato di esemplari che sono risultati positivi al virus in allevamenti in Texas e Kansas. La notizia arriva peraltro un mese dopo la scoperta di una capra in Minnesota positiva a quello stesso virus, e dopo che negli ultimi anni l’aviaria è stata riscontrata anche in cani, gatti ma pure leoni marini e visoni da allevamento.

Il trend è ovviamente preoccupante, anche se, al momento, la situazione epidemiologica lo è (relativamente) di meno. Sono solo tre gli allevamenti dove almeno alcuni esemplari sono risultati positivi al virus (due in Kansas e uno in Texas), e solo il 10% di questi mostrano i segni della malattia – si tratta prevalentemente degli esemplari più anziani, che potrebbero avere qualche altra condizione pregressa.

Alla ricerca del paziente zero. Le altre mucche sono, per ora, sane, e non si sa se l’infezione sia partita da un singolo esemplare e si sia diffusa per contagio diretto: gli esperti dell’USDA sostengono comunque che sia improbabile, e che è più facile che tutte le mucche si siano contagiate dalla stessa fonte.

Resta il mistero di quale sia questa fonte, anche se è quasi certamente di origine volatile. È facile spiegarlo quando c’entra un predatore: una volpe, per esempio, potrebbe mangiare la carcassa di un uccello infetto e contrarre il virus. Nel caso delle mucche, che predatrici non sono, un’ipotesi è che siano state vittime di contaminazione dell’acqua o del cibo, via feci o saliva di un uccello infetto.

Rischio basso. Una buona notizia è che i primi test sulla versione del virus che ha colpito le mucche, comunque, dimostrano che il virus non è mutato al punto da essere più contagioso per noi umani: il rischio di contrarre l’aviaria è ancora molto basso. Ma come purtroppo ben sappiamo, di fronte a certe cose è meglio non scherzare, e muoversi per tempo per evitare tragedie.

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Il primo caso di aviaria in un orso bianco

L’influenza aviaria è nota da più di un secolo. La versione che circola negli ultimi anni, definita HPAI (highly pathogenic avian influenza, cioè “influenza aviaria altamente patogena”), è però particolarmente preoccupante: dal 2022 si segnalano focolai sempre più diffusi, che hanno portato alla morte milioni di uccelli anche in Europa e negli Stati Uniti.
E ora dall’Alaska arriva un’altra pessima notizia relativa al virus: per la prima volta, a restarne vittima è stato un orso polare, come riportato dall’Alaska Department of Environmental Conservation. È il primo animale al mondo appartenente a questa specie a contrarre l’aviaria – almeno per quanto ne sappiamo finora.

Negli allevamenti. L’attuale epidemia di aviaria, causata dal virus H5N1, circola ormai dal 2005, quando vennero registrati i primi casi su uccelli di allevamento nel sud est asiatico. Negli anni è arrivata fino in Europa, e dal 2022 in particolare si sono registrati i primi focolai di grandi dimensioni, scoppiati in diversi allevamenti tra Ungheria, Olanda, Germania, Croazia, Francia e anche Italia.

Orsi, volpi e… Anche negli Stati Uniti la variante HPAI è arrivata nel 2022, e in quello stesso anno, sempre in Alaska, fu ritrovata la prima vittima non-aviana: un cucciolo di orso bruno, al quale nei mesi si sono “uniti” un orso nero e tre volpi. Nell’ottobre del 2023, poi, è stato scoperto il cadavere dell’orso bianco del quale parliamo: è stato ritrovato nei pressi della città di Utqiagvik, e sottoposto ad autopsia e successive analisi che, lo scorso mese, hanno confermato che l’animale è morto dopo aver contratto l’aviaria.

Il virus sopravvive. Gli è successo con ogni probabilità perché ha divorato il cadavere di un uccello infetto dal virus: le basse temperature dell’Alaska consentono a H5N1 di sopravvivere per qualche tempo anche dopo la morte dell’ospite, e quindi di aspettare pazientemente di venire “raccattato” da qualche altro sfortunato animale.

L’orso polare. In questo caso la vittima è stata un orso bianco: è la prima volta che questa specie viene colpita dalla malattia, ma gli esperti dell’Alaska Department of Environmental Conservation sono convinti che non si tratti dell’unico caso, ci sono altri orsi che hanno avuto la stessa sorte, non ancora individuati. Vale la pena ricordare che l’orso polare è considerato una specie vulnerabile, che sta subendo gli effetti dei cambiamenti climatici e in particolare lo scioglimento dei ghiacci artici tra i quali vive: sapere che è potenzialmente vulnerabile a una malattia così letale che in inglese è nota anche come “peste degli uccelli” non è una buona notizia.

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