L’estrazione delle terre rare uccide le grandi scimmie africane

Rame, litio, nickel, cobalto, elementi del gruppo delle terre rare: la domanda per l’estrazione di questi minerali aumenta giorno dopo giorno, data la loro funzione nel contesto della transizione energetica, come componenti fondamentali per la fabbricazione di batterie e apparecchiature elettroniche. Questa crescente domanda sta avendo un particolare impatto in Africa, continente che ospita circa il 30% delle riserve minerarie definite “critiche”, ossia dei giacimenti che contengono minerali di importanza cruciale. Ma secondo uno studio appena pubblicato su Science Advances, la continua attività di estrazione sta mettendo a rischio la sopravvivenza di almeno un terzo dei grandi primati africani: circa 180mila esemplari fra gorilla, bonobo e scimpanzé.

“Attualmente, studi su altre specie suggeriscono che l’attività mineraria danneggia le scimmie attraverso l’inquinamento, la perdita di habitat, una maggiore pressione venatoria e la diffusione di malattie, ma si tratta di un quadro incompleto”, spiega Jessica Junker, prima autrice dello studio e ricercatrice

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Scomparso l’etologo Frans de Waal

Ha sfidato il principio di unicità dell’uomo, considerando gli animali “più umani”. E noi “più animali”. Ha dimostrato che empatia, altruismo, cooperazione, senso di giustizia e persino le alleanze per il potere le abbiamo in una certa misura ereditate dalle grandi scimmie. Ci ha lasciato il suo immenso contributo, al confine fra etologia e filosofia: il primatologo Frans de Waal se ne è andato nella notte del 15 marzo ad Atlanta, a 75 anni. Nella città americana dirigeva il Living Link Center al Yerkes Primate Center, istituto di ricerca avanzata che si propone di studiare l’evoluzione umana indagando sulle nostre strette somiglianze genetiche, cognitive e comportamentali con le grandi scimmie.

Visionario. Ho conosciuto de Waal a Nairobi nel 1982 quando in un congresso internazionale di primatologia era venuto a presentare la sua ricerca sulla “politica negli scimpanzé”. Era un giovane ricercatore olandese che aveva avuto modo di studiare una comunità di scimpanzé, messa in semilibertà su un’isola artificiale dello zoo di Arnhem (Paesi Bassi). Quell’uso del termine “politica” poteva sembrare esagerato. Ma perché lo utilizzava e che cosa aveva scoperto?

Politica fra gli scimpanzé. In sostanza, fra gli scimpanzé per diventare il maschio alfa e mantenere la posizione dominante, non occorreva essere grandi e grossi, ma era necessario tessere una rete di alleanza con altri maschi. Cementare i legami attraverso il grooming (pulizia reciproca del pelo), la divisione del cibo, condividere la simpatia verso le stesse femmine e aiutarsi reciprocamente in caso di conflitti con altri. Sta di fatto che fra gli scimpanzé di Arnhem ci fu persino un caso di “assassinio politico”, proprio così lo aveva definito de Waal. L’alleanza fra quattro maschi, aveva portato alla congiura: assalirono il vecchio leader per dare il comando a un altro. E provocarono la sua morte per le ferite riportate nella lotta.

Pacifismo naturale. La seconda volta che lo intervistai fu in occasione del suo libro Far la pace fra le scimmie (Rizzoli 1991). Il primatologo si era trasferito alla Zoo di San Diego per seguire, oltre agli scimpanzé (Pan troglodytes) i bonobo (Pan pamiscus). Il tema era divulgare il fatto che in realtà in queste due specie di scimmie antropomorfe si spende molto più tempo a costruire relazioni pacifiche e a mantenere la pace che a competere e ad aggredirsi.

Contributo femminile. In questo erano di aiuto, fra gli scimpanzé, soprattutto le femmine che facevano da cuscinetto.

Dividevano o distraevano i contendenti, mentre tutta la comunità disapprovava la violenza con urli e gesti di paura e repulsione. E dopo una litigata si cercava spesso la rappacificazione.

De Waal si rese conto dell’esistenza dell’empatia negli scimpanzé (il mettersi nei panni degli altri, per sentire dentro di sé la loro gioia o la loro sofferenza) quando vide diverse volte un individuo che aveva subito un torto o un’aggressione essere avvicinato da un proprio simile che lo consolava con abbracci o sedute di grooming. Lo studioso realizzò che si trattava di mettere da allora in poi in luce gli sforzi che gli scimpanzé fanno per la pace e il loro senso di compassione invece di proseguire un certo trend anglosassone che si focalizzava sulla competizione. Tanto più che le altre scimmie antropomorfe studiate da de Waal, i bonobo, risultavano del tutto pacifiche.

Sesso e matriarcato. Se negli scimpanzé il gruppo dei maschi era dominante, in quello dei bonobo vigeva una sorta di matriarcato. Erano al potere le femmine, non con la violenza verso i maschi. Ma con il sesso. De Waal fu il primo (assieme al giapponese Nishida Kuroda che le osservò in libertà nella foresta del Congo) a divulgare che le femmine bonobo, come le umane, facevano sesso tutto l’anno, indipendentemente dallo stato di calore o di estro. E lo facevano spesso frontalmente, come fra uomini e donne. Il sesso aveva un significato sociale staccato dalla riproduzione, poiché serviva a mantenere i maschi calmi e collaborativi, che per essere accettati dovevano anche donare o dividere cibo.

Sesso “alla bonobo”. Con rapporti promiscui non c’è paternità sicura ed esclusiva. Così, a differenza dei gorilla (dove dove vige l’harem e un solo maschio capo branco riproduttore) tutti i maschi bonobo devono sentirsi un po’ padri dei cuccioli del gruppo e ben disposti verso di loro. Il meccanismo “sesso in cambio di cibo” diventa un aiuto importante per le femmine con piccoli. Da qui è nata la teoria che alle origini dell’uomo siano state le femmine il primo embrione di socialità. E che queste portarono i maschi a collaborare nella crescita dei cuccioli facendo sesso alla bonobo.

Vicini all’uomo. Mentre si chiariva che i bonobo sono ancora più vicini geneticamente all’uomo degli scimpanzé, de Waal insisteva molto sull’idea che scimpanzé e bonobo possono essere presi a modello per ricostruire il comportamento dei nostri progenitori

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