“Non agire” è una violazione dei diritti umani

L’inadeguatezza della politica nel contrastare la crisi climatica costituisce una grave violazione dei diritti umani: lo ha stabilito martedì 9 aprile la Corte europea dei diritti umani (Cedu), l’organismo, con sede a Strasburgo (Francia), che ha il compito di garantire il rispetto della Convenzione europea dei diritti umani. La sentenza è destinata ad entrare nella storia della giustizia climatica perché per la prima volta ha riconosciuto uno Stato colpevole di “inazione climatica”. In questo primo caso si tratta della Svizzera, che è stata giudicata responsabile di non avere fatto abbastanza per proteggere i suoi cittadini, e nella fattispecie un gruppo di anziane cittadine elvetiche, dagli effetti dei cambiamenti climatici.

Chiuse in casa. A trascinare le autorità svizzere in Tribunale nove anni fa erano state 2.500 donne dell’associazione “Anziane per il clima” (KlimaSeniorinnen) che sostenevano, e sostengono, di non poter lasciare le loro case durante le ondate di calore senza rischiare gravi conseguenze sulla salute. Le donne, sulla settantina, ritengono che la loro età e il loro genere le renda particolarmente vulnerabili agli effetti delle ondate di calore e che il loro Paese non abbia fatto abbastanza per proteggerle, pregiudicando il loro benessere e la loro qualità di vita.

I giudici hanno dato loro ragione, stabilendo che erano stati violati gli articoli 8, che sancisce al diritto al rispetto della vita privata e familiare, e 6, relativo all’accesso a un tribunale. Infatti i tribunali svizzeri non hanno preso sul serio i reclami presentati dall’associazione, e alle donne è stato negato il diritto ad avere un processo giusto nel loro stesso Paese.

Troppo poco. Secondo la Corte, la Svizzera – che pure tradizionalmente ha politiche sul clima piuttosto ambiziose – «avrebbe fallito nell’adempiere i suoi doveri sotto alla Convenzione rispetto ai cambiamenti climatici». Si sarebbero verificate «lacune importanti nelle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, incluso il fallimento nel quantificare le riduzioni di gas serra». Come precisato in un pezzo su Wired.com, l’impianto legislativo del Paese per affrontare l’emergenza clima sarebbe stato ritenuto insufficiente. La Svizzera si era impegnata a ridurre le emissioni dannose del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, ma le ha ridotte soltanto del 14%.

Per le future generazioni. Intervistata fuori dal tribunale, Elisabeth Stern, tra i membri dell’associazione, ha detto: «Sappiamo che statisticamente tra 10 anni non ci saremo più. Qualunque cosa facciamo ora, non la stiamo facendo per noi, ma per il bene dei nostri figli e dei loro figli».

La sentenza è stata salutata positivamente da un gruppo di attivisti, inclusa Greta Thunberg, accorsi a Strasburgo per sostenere la causa donne svizzere e non solo. 

Le cause respinte. La corte non ha ammesso la domanda di ricorso di sei giovani portoghesi che avevano denunciato per l’inazione climatica il loro e altri 32 governi europei, sostenendo che ondate di calore e incendi impedissero loro di giocare all’aperto e di studiare e di crescere senza lo spettro dell’eco-ansia. La motivazione è che i sei non hanno esaurito le vie di ricorso disponibili in Portogallo, Stato a cui spetta la decisione in primo luogo. Stesso discorso per un ex sindaco di un paesino della Francia, Damien Carême (un tempo primo cittadino Grande-Synthe): per Carême l’inazione della Francia starebbe condannando il Paese a finire sommerso dal Mare del Nord, ma il ricorso è inammissibile perché l’uomo non è più residente in loco e non è quindi vittima diretta degli effetti della crisi climatica.

Ogni pezzetto conta. In ogni caso la vittoria delle donne svizzere rappresenta un successo per tutti, perché potrebbe influenzare a cascata le sorti di un altro centinaio di ricorsi di questo tipo pendenti in varie corti minori e in attesa di un verdetto. La CEDU è riconosciuta a livello internazionale come molto influente e questa decisione è destinata a scrivere la Storia. Anche perché confuta l’idea finora diffusa che una corte internazionale non potesse legiferare sugli obblighi in materia di clima perché i cambiamenti climatici sono un problema globale, e gli impegni dei singoli Stati, una goccia nel mare.

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