Come l’uomo sopravvisse all’eruzione del Toba

Circa 74 mila anni fa, il vulcano Toba, situato nell’attuale isola di Sumatra, in Indonesia, fu responsabile di una delle più devastanti eruzioni nella storia della Terra: creò una caldera di 100 km per 60 di diametro – oggi occupata dal lago Toba – e proiettò in atmosfera polveri che finirono anche sull’Himalaya a 3.000 km di distanza. Quel catastrofico evento naturale diede il via a un massiccio sconvolgimento del clima causando un drastico calo della popolazione sul Pianeta. Non tutti, però, ne furono travolti: un nuovo studio pubblicato su Nature, suggerisce infatti la grande capacità di adattamento dei nostri antenati.

I primi scavi. Tutto è iniziato nel 2002 nell’Etiopia nord-occidentale, quando gli scavi compiuti da un gruppo di paleoantropologi riportarono alla luce una serie di reperti che testimoniavano la presenza di una comunità di cacciatori-raccoglitori vissuti nell’area, nella stessa epoca della grande eruzione del Toba. Dal sito, noto come Shinfa-Metema 1, erano riemerse migliaia di ossa di gazzelle, facoceri e persino giraffe che suggerivano come tali specie fossero regolarmente cacciate. Il team ha anche ritrovato 215 frammenti di uova di struzzo, probabilmente consumate a uso alimentare o utilizzate come borracce per conservare l’acqua.

Cambio di clima. Dopo anni di lavoro, gli studiosi hanno dimostrato come gli esseri umani presenti nella zona siano riusciti a sopravvivere agli sconvolgimenti causati dall’eruzione, cambiando le loro abitudini. Tra i sedimenti contenenti schegge di pietra e ossa, il team ha infatti rinvenuto anche cenere vulcanica sotto forma di minuscoli pezzi di vetro, la cui composizione corrisponde a simili frammenti derivanti dall’attività vulcanica del Toba. Un’analisi isotopica dei gusci di struzzo ha suggerito inoltre che l’eruzione rese il clima più secco e ciò coincide con una quadruplicazione della quantità di pesci ritrovati e con una contestuale diminuzione dei resti di altri animali.

Nuova dieta. Stando alla ricostruzione degli studiosi, immediatamente dopo l’eruzione del Toba, la stagione secca si allungò, spingendo i pesci in pozze d’acqua sempre più ristrette e consentendo agli uomini una loro più facile cattura. Trasformandosi in pescatori, gli abitanti della regione furono così in grado di compensare la scarsità di prede terrestri, spinte altrove dalla siccità. Quando gli effetti della catastrofe si attenuarono, in un’epoca successiva, i resti alimentari sono invece tornati ai livelli pre-eruzione, senza alcun segno di estinzione di massa. 

Strategia vincente. Le ricerche svolte a Shinfa-Metema non sono solo utili a capire il comportamento di una comunità isolata, ma aiutano a spiegare perché gli esseri umani presenti in quella regione dell’Africa furono in grado di espandersi con successo in Eurasia grazie alle loro abilità nell’adattarsi.

Smentendo in parte le ipotesi recenti, le migrazioni fuori dal continente africano potrebbero essere avvenute anche in condizioni di clima secco, e non solo in momenti di grande umidità. Oltre a questo, lo studio potrebbe rivalutare anche l’entità dell’eruzione del Toba, forse meno apocalittica di quanto ipotizzato finora.

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Santorini potrebbe esplodere ancora?

Le case bianche, il mare azzurro e l’aria pura fanno di Santorini uno dei luoghi turistici più ricercati al mondo. Ma anche per i geologi è qualcosa di unico, perché nasconde il segreto di grandi vulcani, in parte nascosti dalle acque del mare. Ora un gruppo internazionale di scienziati, guidato da Steffen Kutterolf del GEOMAR Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel (Germania), ha scoperto prove di un’eruzione sottomarina del vulcano Kameni di cui finora non sapevamo nulla, anche se vi erano indizi della sua presenza da dati storici. Nell’articolo, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, i geologi descrivono depositi di pomice e cenere che fanno pensare a una violenta un’eruzione sottomarina avvenuta nel 726 d.C.

Eruzione minoica. L’attuale arcipelago si è formato dopo la devastante eruzione minoica della tarda età del bronzo, circa 3.600 anni fa, quando un vulcano eruttò grandi quantità di cenere e pomice e alla fine crollò, creando le iconiche pareti della “caldera di Santorini”.
Questo però, non è stato il primo collasso della caldera nella storia di Santorini. «Al momento siamo a conoscenza di almeno cinque di questi eventi avvenuti nell’ultimo mezzo milione di anni», afferma Jonas Preine, dell’Università di Amburgo. «Come altri grandi sistemi vulcanici, Santorini attraversa cicli che alternano la formazione di una caldera e la nascita, all’interno di essa, di vulcani, che eruttano mentre la camera magmatica in profondità va a riempirsi sempre più. Quando quest’ultima è colma le eruzioni diventano più imponenti e una grande eruzione può portare alla formazione di una caldera». Ciò si verifica in genere su periodi di decine di migliaia di anni.

Fase di accumulo. Stando a quanto si ipotizzava, Santorini è attualmente in una fase di accumulo di magma e sembrerebbe ancora lontana da un altro collasso della caldera. E in questa fase non sono previste grandi eruzioni esplosive. Le nuove ricerche tuttavia, mettono in discussione questa ipotesi: un’eruzione molto violenta all’inizio dell’estate dell’anno 726 è stata rilevata e ricostruita in vari punti dai carotaggi effettuati all’interno e all’esterno della caldera.

Testimonianze storiche. Gli antichi scritti raccontano di aver visto il mare bollire “come riscaldato da una fornace incandescente”. Grandi blocchi di pomice furono espulsi in quantità tale da ricoprire la superficie del mare per una vasta area e furono trasportati dal vento fino alle coste dell’Asia Minore e della Macedonia.

Si è addirittura supposto che l’improvvisa comparsa di rocce galleggianti nel Mar Egeo possa aver spinto l’imperatore Leone III di Costantinopoli, temendo il dispiacere divino, a imporre l’iconoclastia, un divieto di esporre simboli religiosi. Ma a parte questi resoconti storici, finora mancavano prove concrete di questa eruzione.

Le prove. La spedizione internazionale IODP 398 è stata realizzata da bordo della nave di perforazione JOIDES Resolution. Studi precedenti suggerivano la presenza di spessi strati di sedimenti sul fondo del mare di origine poco chiara. Questi erano stati evidenziati attraverso la creazione di deboli terremoti artificiali che permettono il rilevamento di onde sismiche che raccontano che tipo di rocce attraversano. La nuova ricerca invece, ha realizzato perforazioni fino a 300 metri di profondità dal fondo del mare ed è così che si sono raccolte le prove della massiccia eruzione sottomarina del 726 d.C.

In linea con le testimonianze. Le indagini infatti, hanno rivelato uno strato di pomice grigia e cenere, spesso fino a 40 metri, inequivocabilmente collegato ad un’unica eruzione. «Questa eruzione deve essere avvenuta in gran parte sott’acqua all’interno della caldera, poiché quasi nessun deposito dell’eruzione è stato trovato sulla terraferma», spiega Jens Karstens, geofisico marino presso GEOMAR. «Ciò è in linea con i resoconti storici dell’epoca».

Nuovi rischi? Jonas Preine sottolinea che anche se l’eruzione del 726 d.C. fu trenta volte più debole della famosa eruzione minoica non fu certo cosa da poco e le nuove conoscenze sul comportamento vulcanico di Santorini hanno implicazioni significative per valutare eventuali nuovi rischi, infatti la ricerca suggerisce che durante le prime fasi del ciclo della caldera possono verificarsi potenti eruzioni esplosive. Inoltre, i risultati evidenziano la necessità di una maggiore attenzione alle eruzioni sottomarine, che possono essere causa di violenti tsunami.

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