E se le navi trasformassero la CO2 in bicarbonato?

Un nuovo sistema per la cattura e lo stoccaggio in mare della CO2 emessa dalle navi si ispira a un processo che gli oceani compiono naturalmente da miliardi di anni. Calcarea, una start-up californiana nata da una costola del CalTech (il California Institute of Technology) sta testando una tecnologia per trasformare parte della CO2 emessa nel trasporto navale in bicarbonato da spedire in fondo al mare, usando acqua marina e calcare. Un articolo pubblicato sul New Scientist analizza progressi e limiti di questa tecnologia.

Una fetta importante dei gas serra. Le navi sono complessivamente responsabili di circa il 3% delle emissioni totali di CO2 di origine antropica (pari a circa 1 gigatonnellata all’anno) e al momento esistono opzioni limitate per ridurre la loro impronta carbonica. Se infatti le auto e le case possono essere alimentate da fonti di energia pulita, non ci sono al momento fonti rinnovabili abbastanza efficienti per far muovere senza emissioni le navi cargo che sostengono i trasporti navali globali.

Copiare dalla natura. La tecnologia di Calcarea si ispira a un processo che già avviene naturalmente negli oceani terrestri e che tampona i danni delle esorbitanti quantità di CO2 che l’uomo immette in atmosfera. La CO2 disciolta negli oceani reagisce con i gusci di carbonato di calcio (CaCO3: il principale componente del calcare) presenti sul fondale, trasformando la CO2 in bicarbonato stabile, una forma durevole del carbonio.

Di norma questo processo avviene nel corso di millenni: l’idea è velocizzarlo per diminuire alla fonte la quantità di CO2 assorbita dai mari, all’origine di problemi come l’acidificazione degli oceani, cioè l’alterazione del pH oceanico che minaccia molte creature marine, a cominciare dai coralli.

Come funziona. «La tecnologia Calcarea porterebbe i gas di scarico delle navi a contatto con il calcare (carbonato di calcio solido) all’interno di un reattore riempito con acqua di mare», spiega Jess Adkins, oceanografo, Professore di Geochimica alla Caltech e fondatore di Calcarea.

«Il reattore è appositamente progettato in modo tale da far reagire la CO2 con il calcare per formare bicarbonato disciolto (che non è un solido, piuttosto è come un bicchiere di acqua salata in cui il sale è in soluzione sotto forma di ioni). Questo flusso di acqua di mare con bicarbonato viene rilasciato in mare e la CO2 viene immagazzinata in modo sicuro e permanente come bicarbonato oceanico (la reazione non si inverte). Ci sono già oltre 38.000 gigatonnellate di bicarbonato negli oceani, quindi l’innovazione dell’approccio Calcarea sta nel convertire la CO2 in questa forma in modo che possa essere immagazzinata.

Come si può immaginare, il carbonato di calcio viene consumato durante il viaggio e viene poi rifornito al porto successivo».

Navi-reattori. Due prototipi di Calcarea hanno dimostrato di poter convertire almeno il 30% della CO2 presente nelle emissioni diesel delle navi in bicarbonato, e ora la start-up sta collaborando con una compagnia di trasporto navale (la Lomar Shipping) per testare la tecnologia direttamente a bordo. Secondo le stime il sistema occuperebbe circa il 4% dello spazio disponibile su una bulk carrier, come sono chiamate le navi destinate al trasporto alla rinfusa di carico secco.

E gli oceani, che ne pensano? Restano poi poco chiari gli effetti che l’immissione di bicarbonato in mare avrebbero sugli ecosistemi oceanici. Secondo Adkins, poiché negli oceani del mondo sono già presenti enormi quantità di bicarbonato, quello in più rilasciato da Calcarea avrebbe un effetto trascurabile sul pH dell’acqua marina, e anzi, la tecnologia potrebbe aiutare a combattere l’acidificazione oceanica. D’altro canto, altri progetti proposti per far assorbire più CO2 agli oceani sono stati indicati dagli scienziati come potenzialmente pericolosi per gli equilibri dei loro fondamentali habitat.

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