9 cose che forse non sai su vegani e vegetariani

Gli eccessi della Rivoluzione francese raccontati attraverso la tragedia delle sue vittime più illustri, Luigi XVI e Maria Antonietta. La cattura, la prigionia, i processi e l’esecuzione della coppia reale sotto la lama del più famoso boia di Parigi. E ancora: come si studiava, e si insegnava, nelle scuole del Cinquecento; l’ipotesi di delitto politico dietro la morte di Pablo Neruda, pochi giorni dopo il golpe di Pinochet; l’aeroporto di Tempelhof, a Berlino, quando era palcoscenico della propaganda nazista.

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La fine di Stalin: chi di rivoluzione ferisce…

La dittatura di Stalin, l’ascesa e la caduta degli uomini della rivoluzione sovietica, ci ha dato l’occasione – nel 70° anniversario dalla morte del dittatore – di notare quel parallelismo del terrore e del controterrore che ha accomunato le due più grandi rivoluzioni della storia, quella francese e quella russa: le faide interne ai rivoluzionari e il patibolo fratricida che ha visto sfilare quelli che prima erano compagni di lotta e poi nemici da eliminare.

In occasione del settantesimo anniversario della morte di Stalin (5 marzo 1953), Focus Storia in edicola racconta la dittatura in Urss, l’ascesa e la caduta degli uomini della rivoluzione sovietica.
© Focus Storia

Le “purghe staliniane”. Il leader sovietico Iosif Stalin, a partire dal 1924, costruì un sistema di potere basato sulla delazione, per tenere sotto il tacco non solo gli avversari politici, ma anche gli alleati. Quel clima di denuncia contaminò tutta la società russa e culminò nelle “purghe” degli anni 1937-1938, atti di persecuzione che dovevano eliminare ogni oppositore. Stalin fu capace di tutto, arrivò persino a provocare la carestia che tra il 1932 e il 1933 causò milioni di morti fra gli ucraini (Holodomor).
Il giallo della morte. Il meccanismo spietato che lui aveva creato gli si ritorse contro alla fine della sua vita. Mentre Stalin era colpito da un ictus, infatti, nessuno fece nulla per aiutarlo. E i soccorsi partirono in ritardo. Avevano tutti avevano paura di avvicinarlo o stavano preparando la successione? Fu una scelta precisa o solo il timore di prendere una decisione sulla vita di un uomo che invece decideva del destino di tutti?

Il Terrore, corsi e ricorsi storici. Alla fine Stalin, il “Piccolo padre” della nazione sovietica – nata dalla Rivoluzione bolscevica del 1917 che aveva affogato nel sangue l’impero degli zar – era diventato a sua volta il più spietato dei dittatori instaurando il Grande Terrore.
Definizione che suona familiare, vero? C’era stato infatti un altro Terrore, a cavallo tra 18° e 19° secolo, nella Francia repubblicana sorta dalla Rivoluzione giacobina del 1789. I rivoluzionari come Robespierre e Danton avevano abbattuto l’Ancien Régime e la monarchia di Monsieur le Roi per consegnare il potere di vita e di morte a Madame Guillotine.

Da rivoluzionari a boia. Con la presa della Bastiglia era caduta la monarchia assoluta, ma sul patibolo erano finiti in tanti, sovrani, nobili, donne e uomini, e alla fine gli stessi rivoluzionari. Tra il 1793 e il 1794 Robespierre e i suoi avevano instaurato il Terrore, una tirannia cieca con la sospensione della costituzione e la morte per gli oppositori.
Il potere del popolo era prima diventato il potere di pochi, poi di uno solo.

Però è vero che chi di lama ferisce di lama perisce: infatti a finire sulla ghigliottina fu anche il più spietato dei giacobini, Robespierre. E in buona compagnia. Ecco i protagonisti di due rivoluzioni capaci di creare uomini nuovi… e di distruggerli.

Bastava il sospetto. Nel sistema sovietico la delazione era un dovere. Era sufficiente un giudizio critico per essere arrestati e finire nei gulag, i famigerati campi di lavoro forzato: il nemico veniva identificato e poi si lanciava la campagna contro di lui, appoggiata dalle denunce di un compagno di partito, un vicino di casa, dalla spiata di un ragazzino. Tra il 1928 e il 1953, anno della morte di Stalin, finirono nelle maglie della polizia politica 25 milioni di cittadini sovietici.

Compagni giustiziati. Il primo fu Kirov, amico di Stalin e capo del partito a Leningrado. Morì assassinato nel 1934, apparentemente da un oppositore. In realtà si presume che a organizzarne la fine prematura fosse stato Jagoda, capo della polizia politica e del Nkvd, il Commissariato del popolo per gli affari interni.
Fu lui nel 1936 a interrogare e ordire il primo dei processi di Mosca, che finì con la condanna e la fucilazione di due oppositori di Stalin, principali esponenti della sinistra del partito comunista: Kamenev, già direttore della Pravda (il maggior quotidiano russo) e poi presidente del soviet di Mosca, e Zinov’ev, uno dei politici più potenti dell’Unione Sovietica, presidente del Komintern (l’Internazionale Comunista) dopo la morte di Lenin. La loro esecuzione, oggetto di scherno durante un banchetto davanti a Stalin, suscitò immenso clamore ma non servì a impedire le grandi esecuzioni nel biennio delle purghe.

Nessuno risparmiato. Lev Trockij, che aveva affiancato Lenin nella Rivoluzione d’ottobre e guidato l’Armata rossa durante la guerra civile, fu espulso dal partito nel 1927 e costretto all’esilio. Fra le sue tante invettive contro Stalin, scrisse un pamphlet dove raccontava la “strana” fine di Lenin (nel 1924, a 54 anni), sopraggiunta per malattia, certo, ma forse accelerata da un fantomatico veleno, di cui Stalin accennò a Trockij. D’altra parte, era noto che il padre della rivoluzione, in punto di morte, nella sua lettera-testamento al congresso del Partito Bolscevico aveva scritto che Stalin era “troppo grossolano” e aveva proposto ai compagni di rimuoverlo dall’incarico di segretario generale.
Che questi sospetti avessero o meno fondamento, Trockij fu condannato a morte in contumacia e venne ucciso in Messico nel 1940 da Ramón Mercader, un agente segreto spagnolo che operava per il Nkvd sovietico.

Dettaglio curioso, questi era il fratello di Maria Mercader, moglie di Vittorio De Sica.

La scuola del genocidio. Un medesimo bagno di sangue, efferato quanto se non più delle purghe staliniane, si era verificato in Francia alla fine del Settecento. La prima fase della rivoluzione era finita con l’esecuzione di migliaia di prigionieri, inclusi centinaia fra chierici e carmelitane. Luigi XVI era stato ghigliottinato il 21 gennaio 1793. In ottobre era salita sul patibolo Maria Antonietta. Nell’estate di quell’anno era iniziata anche la repressione in Vandea, dove la popolazione fedele al re fu vittima del primo genocidio della storia contemporanea. A giugno i montagnardi (il nuovo nome che si erano dati i giacobini più accesi), avevano espulso dalla Convenzione nazionale i girondini, che avevano cercato invano di salvare la vita al sovrano.

A luglio Marat, medico, giornalista e ideologo della rivoluzione insieme con Danton, Saint-Just, Desmoulins e Robespierre, venne ucciso dalla filo-girondina Carlotta Corday. Danton, sospettato di doppio gioco, fu estromesso dal Comitato di salute pubblica, che era l’organo di governo della Convenzione. Vi entrò Robespierre, e impose una linea durissima.

Caccia ai sospetti. A settembre fu approvata la “legge dei sospetti”, che consentiva di incarcerare e giustiziare i nemici della rivoluzione. Era l’inizio del Terrore. I radicali aprirono la caccia ai più moderati: il generale La Fayette, grande protagonista degli Stati generali del 1789 e comandante di un’armata, fuggì da Parigi mentre Robespierre lo definiva traditore e la folla bruciava il suo ritratto. Il matematico Bailly, sindaco di Parigi e primo presidente dell’Assemblea Nazionale, fu costretto alle dimissioni e condannato a morte.
Danton e il giornalista Desmoulins, che intanto avevano fondato il club degli Indulgenti, denunciando lo strumento del Terrore, furono processati e condannati. Desmoulins finì sulla ghigliottina una settimana prima della moglie. Danton fu giustiziato il 5 aprile 1974. Prima del taglio disse al boia: “Non dimenticare di mostrare la mia testa al popolo: ne vale la pena”. Il 27 luglio venne posto sotto accusa Robespierre. Condannato senza processo, il giorno dopo si inchinò anche lui a Madama Ghigliottina, insieme con suo fratello Augustin, con l’amico Saint-Just, che aveva cercato di liberarlo, e con un’altra ventina di giacobini. E la folla fece festa.

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10 cose che forse non sai sui dittatori

“Pablo Neruda fu avvelenato con botulino”, nipote anticipa risultati inchiesta

Una nuova perizia sulle spoglie mortali Pablo Neruda ipotizza che il grande poeta cileno, morto il 23 agosto 1973 nella clinica Santa María di Santiago del Cile, fu avvelenato dodici giorni dopo il colpo di Stato militare del generale Augusto Pinochet che mise fine all’esperienza del presidente Salvador Allende. Le analisi effettuate da gruppo di ricercatori internazionale hanno rilevato la presenza di una tossina altamente tossica, il ‘Clostridium botulinum’, che ne avrebbe causato rapidamente la morte.

“Adesso sappiamo che il ‘Clostridium botulinum’ non avrebbe dovuto essere presente nelle ossa di Neruda e quindi è stato assassinato nel 1973 da agenti dello Stato cileno”, ha detto il nipote del Premio Nobel della Letteratura, l’avvocato Rodolfo Reyes, alla stampa cilena, anticipando i risultati ufficiali delle analisi che dovrebbero essere resi noti domani, mercoledì 15 febbraio. Il batterio del botulino era stato individuato in un molare del poeta per la prima volta nel 2017 da un gruppo di esperti che avevano avanzato l’ipotesi di un avvelenamento e avevano messo in dubbio la versione ufficiale che parla del decesso di Neruda per un tumore metastatico alla prostata. Rodolfo Reyes ritiene pertanto plausibile l’ipotesi più volte ripetuta dal partito comunista cileno secondo cui Neruda fu ucciso “con un’iniezione che lo avrebbe avvelenato”. “Posso dirlo perché conosco i rapporti. Lo dico io, come avvocato e nipote, con molta responsabilità, perché il giudice non può ancora dirlo, perché deve avere tutte le informazioni”, ha detto Reyes in una conversazione con il quotidiano spagnolo ‘El País”. “Questo è ciò che stavamo aspettando, perché il panel di esperti del 2017 aveva già trovato il ‘Clostridium botulinum’. Ma non si sapeva se fosse endogeno o esogeno. In altre parole, se era interno o esterno. E ora è stato dimostrato che era endogeno e che è stato iniettato o collocato”.La vicenda della morte per avvelenamento di Pablo Neruda (1904-1973) tiene banco da almeno dieci anni e da allora ripetute indagini medico-legali, con inchieste della magistratura aperte e poi archiviate, non sono riuscite a formulare un verdetto univoco sul decesso. Ora il nipote che non si è mai arreso alla versione ufficiale ha annunciato la svolta. Nel 2013 un gruppo di medici legali, in accordo con le autorità giudiziarie cilene, sottoposero la salma del Premio Nobel a una serie di lunghi esami per verificare l’attendibilità della testimonianza del suo autista e guardia del corpo, Manuel Araya, secondo cui il poeta sarebbe stato assassinato per volontà del generale Pinochet nella clinica Santa Maria a Santiago mediante una misteriosa iniezione pochi giorni dopo il colpo di Stato. Il direttore del servizio medico legale cileno, Patricio Bustos, fece così analizzare la salma di Neruda concludendo che il poeta è morto a causa di un tumore alla prostata, il cui decorso sarebbe stato accelerato dallo stress emozionale dei giorni del golpe. Nessuna sostanza velenosa venne allora rintracciata nel corpo, se non tracce di medicinali e antidolorifici assunti per contrastare il cancro, mentre nelle ossa erano presenti molte metastasi.Il nipote del poeta nel gennaio 2015 ottenne un supplemento di inchiesta e la riapertura dell’indagine, con nuovi esami scientifici sui reperti biologici prelevati dalla salma nella primavera 2013, onde ricercare specifiche sostanze chimiche o metalli pesanti, letali in breve tempo in un organismo debilitato. Nel maggio 2015 un team spagnolo rese noto il ritrovamento di proteine anomale nelle ossa di Neruda, non riferibili a farmaci, alcune legate al cancro e altre a un’infezione improvvisa e assai rapida. Anche questa indagine fu l’archiviata ma il governo cileno, di fronte ai persistenti dubbi, istituì due commissioni scientifiche che nel novembre 2015 hanno redatto un documento in cui si legge che è probabile che Neruda non sia morto “a causa del cancro alla prostata di cui soffriva”, e che “risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi”, concludendo che al paziente “fu applicata un’iniezione o gli fu somministrato qualcosa per via orale che ha fatto precipitare la sua prognosi in appena sei ore”.Nello febbraio 2016 il giudice cileno Mario Carroza, che aveva disposto la riesumazione della salma di Pablo Neruda, decise che non si poteva ulteriormente prolungare la custodia dei resti mortali fino ad allora a disposizione del tribunale, ordinando la loro restituzione alla famiglia. Nell’aprile 2016 i resti mortali di Pablo Neruda furono di nuovo interrati a Isla Negra, sulla costa centrale del Cile, dove si trova la sua casa-museo, accanto alla tomba della moglie Matilde Urrutia. Nel giardino dell’ultima residenza del poeta la salma dell’autore di “Confesso che ho vissuto” era già giunta nel 1992, dopo che in precedenza aveva riposato nel cimitero di Santiago del Cile.Nell’autunno del 2017 un pool di esperti ha esaminato nuovamente i resti del poeta cileno e l’esito dei nuovi esami venne annunciato dal professore Aurelio Luna dell’università spagnola di Murcia, che aveva coordinato il lavoro di un team internazionale formato da 16 medici: “Contrariamente a quanto scritto nei certificati ufficiali, non fu un tumore alla prostata la causa della morte di Neruda”. “Non possiamo ancora escludere né affermare la causa naturale o violenta della morte di Pablo Neruda – dichiarò Aurelio Luna durante una conferenza a Santiago del Cile – la conclusione fondamentale però è l’invalidità del certificato di morte”. Nei mesi successivi gli esami rivelarono la presenza del batterio ‘Clostridium botulinum’ trovato in un molare del poeta, poi confermato da altre indagini, che hanno permesso di aprire nuovamente la causa davanti alla magistratura. I risultati delle perizie effettuate dagli esperti internazionali dovrebbero essere resi pubblici domani, mercoledì 15 febbraio, quando il rapporto sarà consegnato al giudice Paola Plaza. Le informazioni fornite dagli esperti non saranno tuttavia vincolanti per la decisione del magistrato. L’ultimo gruppo di specialisti incaricati della perizia devono determinare se l’origine della sostanza individuata sia endogena o esogena. Questo terzo panel di esperti è composto da scienziati provenienti da Canada, Messico, El Salvador, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Canada e Cile. Due laboratori, uno in Canada e uno in Danimarca, hanno effettuato i test.

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