Alex Bellini e la vita “estrema” in Mozambico

Il 3 novembre 2023 sono partito per l’Africa a seguito della fondazione AVSI. Quest’anno la destinazione è il Mozambico, uno dei Paesi più poveri del mondo: il 181esimo su 189 nell’indice di sviluppo umano. Sebbene negli ultimi anni siano stati compiuti notevoli progressi nella riduzione della povertà, oltre l’80% dei mozambicani continua a vivere con meno di due dollari al giorno e la metà della popolazione non ha accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici adeguati.

Sfruttamento selvaggio. Emergenza economico sanitaria e vulnerabilità climatica si sommano ad attacchi terroristici e conflitti interni che dal 2017 affliggono la provincia di Cabo Delgado. Contrasti imputabili alla scoperta di grandi giacimenti di gas offshore che ha portato a un’intensa attività di esplorazione da parte delle compagnie petrolifere occidentali. L’afflusso di capitali stranieri, inizialmente accolto positivamente dalla popolazione, perché speranzosa in una ridistribuzione dei benefici dell’estrazione del gas, ha provocato risentimento verso la promessa mancata di ricchezza e benessere, favorendo la nascita di bande armate.

Attecchisce il terrorismo. Dal 2020 a oggi gli attacchi terroristici hanno causato centinaia di morti in questa parte del Paese e provocato la fuga di centinaia di migliaia di persone in cerca di rifugio nelle zone più a sud, alle porte di Pemba, il capoluogo della provincia. Il mio viaggio è iniziato a Nacuta, a due ore da Pemba, per visitare uno dei villaggi dove AVSI ha contribuito a costruire centinaia di shelter, piccole strutture abitative che ospitano quasi duemila sfollati.

Perché scappano? Le testimonianze di chi fugge mi hanno fatto venire i brividi. «I miliziani sono arrivati di notte e hanno dato fuoco alla mia casa», dice Isabel, una donna che ha raggiunto il campo un anno fa. «Io e i miei due figli siamo riusciti a scappare nascondendoci prima nella foresta, dove siamo rimasti per una settimana, e poi camminato per otto giorni, senza acqua né cibo fino ad arrivare qui».

Una vita migliore. Ora Isabel ha un piccolo campo, ogni famiglia ne ha uno, con cui provvede a sé e ai figli con quel che riesce a raccogliere. Anche se qui la loro vita è decisamente migliorata, nei suoi occhi vedo la voglia di tornare a casa. Riesco a scambiare due parole con un’altra donna, madre di una bambina di un anno che aspetta il suo turno al vicino centro di salute dove un’ostetrica la peserà, la visiterà e le somministrerà integratori per combattere la denutrizione, che in Mozambico colpisce ancora un bambino su due sotto i cinque anni.

Lei per il momento non pensa di tornare a casa, ha paura che gli attacchi dei ribelli la costringano a fuggire nuovamente.

Mozambico - Malnutrizione

La denutrizione in Mozambico colpisce ancora un bambino su due sotto i cinque anni.
© Alex Bellini / Avsi

La buona volontà non basta. A Nacuta, la comunità nativa e quella degli sfollati vivono fianco a fianco, tentando d’integrarsi, ma la vita qui resta una sfida. Non mancano i problemi: Estrella, responsabile del centro di salute, spiega che lo staff non è più in grado di gestire l’alto numero di pazienti. Mancano medicinali e personale. L’acqua è poca e talvolta manca l’energia elettrica. «La prevenzione è la miglior cura», dice. Anche in questo la cooperazione internazionale è fondamentale, infatti, promuove coesione sociale e attività per rendere la comunità capace di affrontare shock e stress, che qui sono di due tipi.

Emergenza sanitaria. Prima di tutto l’urgenza della prevenzione di malattie come colera, malaria, diarrea e tifo per consentire il buon funzionamento dei centri di salute. Nel centro profughi di Tratara, non lontano da Pemba, ho assistito a uno spettacolo teatrale in cui attraverso a un racconto comico della vita quotidiana vengono fatti passare messaggi su come prevenire le malattie più comuni. Per un’ora, sotto un grande albero nel cuore del centro profughi – qui gli alberi sono centri di aggregazione naturali, come le nostre piazze – gli attori hanno informato, educato, oltre ad aver divertito, un centinaio di persone.

Crisi climatica. La seconda tipologia di stress ha a che fare con gli effetti degli eventi naturali estremi. A causa della sua posizione geografica e dell’aumento della frequenza di eventi estremi come siccità, inondazioni e cicloni, il Mozambico è uno dei Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico. Dall’inizio del 2023, è stato colpito da tempeste tropicali e dal ciclone Freddy che ha raggiunto la costa due volte colpendo migliaia di famiglie, tra locali e sfollati. Ad Alto Gingone, quartiere tra i più vecchi e popolosi di Pemba, AVSI è intervenuta costruendo e rafforzando il sistema di canali per prevenire inondazioni e l’erosione della costa durante le mareggiate.

Crisi idrica. Osservando questo gruppo di operai impegnati a irrobustire il sistema dell’acqua di Alto Gingone ho riflettuto su come l’acqua, sia che sia troppo poca, troppa o troppo sporca rappresenti una risorsa critica per lo sviluppo e la sopravvivenza di qualunque comunità: gestirla in modo più saggio, equo e sostenibile è l’unica via per evitare una grave crisi idrica globale.

Aiuti umanitari. Quello in Mozambico è stato un viaggio di esplorazione e conoscenza, diverso dagli scenari in cui di solito mi imbatto, ma forte, pieno di storie di dignità, resilienza e forza, che viene restituita grazie a questi progetti di supporto alle popolazioni locali in cui crescere, nonostante le condizioni precarie. Non è stato un viaggio facile, ma ho scoperto nuovi volti della cooperazione, ancora più convinto che gli aiuti umanitari siano necessari per supportare localmente le persone in emergenza e aiutarle a ricominciare la loro vita nelle regioni di origine.

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