Il primo caso di aviaria in un orso bianco

L’influenza aviaria è nota da più di un secolo. La versione che circola negli ultimi anni, definita HPAI (highly pathogenic avian influenza, cioè “influenza aviaria altamente patogena”), è però particolarmente preoccupante: dal 2022 si segnalano focolai sempre più diffusi, che hanno portato alla morte milioni di uccelli anche in Europa e negli Stati Uniti.

E ora dall’Alaska arriva un’altra pessima notizia relativa al virus: per la prima volta, a restarne vittima è stato un orso polare, come riportato dall’Alaska Department of Environmental Conservation. È il primo animale al mondo appartenente a questa specie a contrarre l’aviaria – almeno per quanto ne sappiamo finora.

Negli allevamenti. L’attuale epidemia di aviaria, causata dal virus H5N1, circola ormai dal 2005, quando vennero registrati i primi casi su uccelli di allevamento nel sud est asiatico. Negli anni è arrivata fino in Europa, e dal 2022 in particolare si sono registrati i primi focolai di grandi dimensioni, scoppiati in diversi allevamenti tra Ungheria, Olanda, Germania, Croazia, Francia e anche Italia.

Orsi, volpi e… Anche negli Stati Uniti la variante HPAI è arrivata nel 2022, e in quello stesso anno, sempre in Alaska, fu ritrovata la prima vittima non-aviana: un cucciolo di orso bruno, al quale nei mesi si sono “uniti” un orso nero e tre volpi. Nell’ottobre del 2023, poi, è stato scoperto il cadavere dell’orso bianco del quale parliamo: è stato ritrovato nei pressi della città di Utqiagvik, e sottoposto ad autopsia e successive analisi che, lo scorso mese, hanno confermato che l’animale è morto dopo aver contratto l’aviaria.

Il virus sopravvive. Gli è successo con ogni probabilità perché ha divorato il cadavere di un uccello infetto dal virus: le basse temperature dell’Alaska consentono a H5N1 di sopravvivere per qualche tempo anche dopo la morte dell’ospite, e quindi di aspettare pazientemente di venire “raccattato” da qualche altro sfortunato animale.

L’orso polare. In questo caso la vittima è stata un orso bianco: è la prima volta che questa specie viene colpita dalla malattia, ma gli esperti dell’Alaska Department of Environmental Conservation sono convinti che non si tratti dell’unico caso, ci sono altri orsi che hanno avuto la stessa sorte, non ancora individuati. Vale la pena ricordare che l’orso polare è considerato una specie vulnerabile, che sta subendo gli effetti dei cambiamenti climatici e in particolare lo scioglimento dei ghiacci artici tra i quali vive: sapere che è potenzialmente vulnerabile a una malattia così letale che in inglese è nota anche come “peste degli uccelli” non è una buona notizia.

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L’aviaria trasmessa all’uomo da una mucca

Una persona in Texas ha contratto l’influenza aviaria dopo aver lavorato a stretto contatto con mucche da latte infettate dal virus. Lo hanno confermato i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi: il paziente (o la paziente) che ha manifestato i sintomi di una congiuntivite ed è in via di guarigione, è risultato positivo a un sottotipo del virus influenzale aviario H5N1, lo stesso che sta circolando nei volatili selvatici e da allevamento nonché in diverse specie di mammiferi di ormai quasi tutti i continenti. È la prima volta che viene documentata la trasmissione all’uomo da un altro mammifero.

L’aviaria tra i bovini. A fine marzo era stata diffusa la notizia della presenza del virus dell’influenza aviaria nelle mucche da latte di almeno cinque Stati USA, Texas, Kansas, Michigan, Nuovo Messico e Idaho. I bovini non erano considerati particolarmente a rischio e non è ancora chiaro come abbiano contratto il patogeno. In alcuni allevamenti è stata confermata la presenza di volatili morti infettati dall’aviaria; ma il virus potrebbe anche aver raggiunto le mucche attraverso le feci o altre secrezioni dei pennuti venuti in contatto con il mangime o l’acqua degli animali, o ancora attraverso animali intermedi come gatti o procioni.

Qual è il rischio per l’uomo? Il paziente lavorava a contatto diretto con alcune mucche da latte infettate dall’aviaria ed è finora l’unica persona risultata positiva al virus H5N1 su decine di pazienti sintomatici testati. L’unico disturbo manifestato dalla persona contagiata è stato un rossore agli occhi come quello da congiuntivite; dopo la conferma della positività, il paziente è stato messo in isolamento ed è guarito dopo essere stato trattato con antivirali per influenza.
L’episodio, scrivono i CDC, «non cambia la valutazione del rischio dell’influenza aviaria H5N1 per la salute umana», considerato basso. «Tuttavia, le persone con esposizioni ravvicinate o prolungate o non protette con volatili o altri animali infetti, inclusi quelli da allevamento, o che siano state in ambienti contaminati da uccelli o altri animali infetti, sono maggiormente a rischio infezione».

Come avviene la trasmissione? Le mucche potrebbero aver contratto l’aviaria in modo indipendente, oppure – eventualità preoccupante, che al momento però non può essere verificata – da altre mucche infette. Come spiegato sul New York Times, l’eventualità che il virus si trasmetta tra bovini potrebbe spiegare perché si stia muovendo così rapidamente e aprire la strada a epidemie più sostenute e su larga scala.

Potrebbe inoltre dare al patogeno più opportunità di adattarsi ai mammiferi, aumentando il rischio che acquisisca mutazioni che lo rendano pericoloso per gli esseri umani. 

Quanto sta circolando il virus? Nei bovini, l’aviaria sembra causare sintomi di lieve entità (inappetenza, ridotta produzione di latte, lieve febbre) da cui l’animale si riprende senza problemi. Ciò da un lato non porta alla necessità di abbattere gli animali colpiti, dall’altro rende difficile conoscere l’entità della sua diffusione. Le mucche di norma non vengono testate per questo virus, e muovendosi tra uno stato e l’altro potrebbero favorirne la diffusione. Finora l’aviaria è stata confermata soltanto nelle mucche da latte e non in quelle da carne.

Quale evoluzione avrà il virus? A partire dal 2021-2022 un’epidemia di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità ha provocato la morte di milioni di pennuti selvatici e di allevamento, ma si è diffusa anche tra i mammiferi marini, provocando la morte di 17.000 cuccioli di elefanti marini del sud (Mirounga leonina) in Patagonia. Per il momento il virus non sembra avere la capacità di diffondersi in modo efficiente tra esseri umani, ma analizzando la sequenza genetica del patogeno circolato tra gli uccelli, tra i bovini e ora nel paziente contagiato si cercherà di capire se stia acquisendo mutazioni utili alla trasmissione dagli amimali all’uomo, e da uomo a uomo. 

Il latte è sicuro? Intanto, gli scienziati precisano che nelle zone colpite il latte pastorizzato rimane sicuro da consumare, perché il processo di pastorizzazione lo eleva a temperature che inattivano l’attività dei possibili patogeni presenti. Il latte crudo e gli utensili per la mungitura sono invece da maneggiare con le cautele del caso.

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