I capodogli usano la cacca contro le orche

Il video che trovate qui sotto potrebbe confondervi a una prima visione. Si vede infatti un piccolo gruppo di capodogli attaccati da un pod di orche al largo delle coste dell’Australia occidentale: durante l’assalto, l’acqua diventa a un certo punto di colore rossastro, come se uno dei cetacei sotto attacco fosse stato morso. Guardate meglio, però, oppure fidatevi di noi: non si tratta di sangue, ma di cacca.

È una strategia difensiva che i capodogli usano quando sono in estrema difficoltà, e per la prima volta la vediamo messa in pratica contro uno dei predatori più letali degli oceani. Il tentato “capodoglicidio” è stato filmato dalla biologa marina Jennah Tucker, che era a bordo di una missione di whale watching organizzata dall’associazione australiana Naturaliste Charters.

Defecazione difensiva. Il gruppo di capodogli attaccati dalle orche era composto da quattro esemplari, uno dei quali decisamente più piccolo degli altri: è su di lui, probabilmente un cucciolo, che si sono concentrati i predatori. Nel video si vede il gruppetto stringersi intorno all’esemplare più vulnerabile, agitando le code per tenere le orche a distanza; poi, a un certo punto, una bolla rossastra che sale in superficie. A una prima occhiata (anche dei passeggeri della barca) può sembrare sangue, ma si tratta di un caso di defecazione difensiva, come si chiama tecnicamente; incidentalmente, il motivo per cui la cacca dei capodogli è rossa è che si nutrono prevalentemente di calamari, che danno alle loro feci una tinta caratteristica.

L’efficacia della cacca. Una seconda analisi delle foto e dei video girati durante l’evento ha confermato definitivamente la natura fecale della nuvola rossa, ma ha anche mostrato un’orca allontanarsi con qualcosa di altrettanto rosso in bocca: non è chiaro se si tratti di un pezzo di carne di capodoglio (in tal caso la predazione sarebbe andata a buon fine, nonostante la cacca) o magari di calamaro, strappato dalle fauci della preda mancata come premio di consolazione. Quello che è chiaro, invece, è che la defecazione difensiva dei capodogli funziona anche con un predatore spesso letale (chiedete agli squali del Sudafrica) come l’orca.

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I clan dei capodogli sono “esclusivi”

C’è una specie al mondo, divisa in clan, che conta migliaia d’individui, con un proprio dialetto e comportamenti culturalmente appresi. Una specie senza gambe né mani, che non vive nelle città o nelle foreste, ma in uno sconfinato spazio acqueo. E che con noi umani ha in comune un grande cervello (in proporzione al corpo), l’istinto di cooperazione e la mobilità.
Stiamo parlando del capodoglio (Physeter macrocephalus), oggetto di studi dalle rivoluzionarie implicazioni antropologiche, riassunti su Royal Society Open Science dal biologo Hal Whitehead, della Dalhousien University (Canada).

Famiglia allargata. I clan di capodogli sono composti da diverse famiglie matrilineari di circa 10 femmine adulte con i loro figli. Cacciano cefalopodi a grandi profondità, per cui qualche femmina adulta resta sempre in superficie con i piccoli di tutte, che può anche allattare senza distinzioni. I capodogli praticano la caccia organizzata e la difesa collettiva contro le orche. Hanno vari momenti ludici, come inseguirsi per gioco o nuotare affiancati, dandosi colpetti con i loro dorsi, una specie di grooming per rafforzare i legami sociali (quello che nelle scimmie riguarda la pulizia reciproca del pelo). Non avendo mani dal pollice opponibile e presa di precisione, ma pinne, il capodoglio non ha sviluppato il cervello a causa della manipolazione di oggetti, ma in virtù dei rapporti sociali, della memorizzazione dei compagni, dei luoghi e delle tecniche di caccia. E soprattutto grazie al suo sistema di eco localizzazione, con cui anche comunica.

Evitare gli stranieri. Nei capodogli la cultura si fonda sui dialetti, come principali marcatori di appartenenza a un clan e ha una importanza tale che se in uno spazio di mare s’incontrano due clan diversi questi non si capiscono, non interagiscono fra di loro evitandosi del tutto. Come se fossero due specie distinte. Questo nonostante siano geneticamente della stessa specie.

Così vicini, così lontani. In ogni clan di capodogli vengono tramandate per tradizione culturale le rotte e l’attaccamento ad aree a ridosso di coste e isole. Ma i clan che si ritrovano confinanti, anziché assomigliarsi nella comunicazione, si differenziano ancora di più rispetto a quelli che vivono lontani, in modo da enfatizzare la loro appartenenza ai diversi gruppi.

Comunità su scala tribale. Comparando il capodoglio ad altre specie che presentano un alto livello cognitivo, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che è l’uomo la specie più simile a questo cetaceo dal punto di vista sociale.

Gli umani, infatti, sono tradizionalmente divisi in gruppi etnici che parlano lingue diverse anche nelle medesime condizioni ecologiche. Per esempio, gli aborigeni australiani o i nativi della Nuova Guinea, pur vivendo in habitat simili parlano centinaia di lingue differenti e hanno usanze diverse. Le tribù della Valle dell’Omo, in Etiopia, fanno di tutto per distinguersi fra di loro con particolari acconciature, piattelli alle labbra, pitture corporali, scarificazioni…

Diversi, ma non geneticamente. Ma se fra un eschimese e un cittadino dell’Europa mediterranea esistono differenze genetiche intraspecifiche in parallelo a quelle linguistiche, fra i capodogli di un clan del Pacifico e quelli per esempio di un clan dell’Atlantico, le differenze genetiche sono poco rivelanti.

Pendolari del sesso. I maschi si allontanano dal clan originale da adolescenti, per stazionare nell’emisfero settentrionale e poi ridiscendere a Sud e accoppiarsi con le femmine di altri clan, senza tuttavia entrare nel loro gruppo. I capodogli sono il caso più eclatante di segregazione di genere fra i mammiferi, ma questi accoppiamenti “una volta e via” assicurano l’unita genetica della specie.

Comunità numerosa. I ricercatori hanno seguito una decina di clan, nelle acque dei Caraibi, di Brasile e Giappone, dell’Ecuador, delle isole Mauritius e del Mediterraneo. Soltanto nel Pacifico vengono stimati 300mila capodogli, un singolo clan va dalle dimensioni di alcune centinaia a 20mila individui. Un numero paragonabile solo ai gruppi etno-linguistici umani. Ma come comunicano questi cetacei?

Suoni d’identità. Per orientarsi e catturare le prede nel buio degli abissi utilizzano l’eco localizzazione, ovvero emettono dei suoni (click) e, raccogliendone gli echi, ricavano mappe mentali. Diversi dei loro potenti click vengono invece destinati alla comunicazione e sono veri e propri marcatori culturali del clan di appartenenza.

Linguaggio in codice. La “parola d’ordine” di ciascun clan è composta da un determinato numero di click e la spaziatura temporale fa questi. Per esempio, il clan dei Regular del Pacifico emette 5 click egualmente distanziati. Il vicino clan dei Four-plus, 4 click distanziati brevemente e 2 dopo una pausa più lunga. Molto sintetici sono quelli dello Short clan, grandi viaggiatori che usano spostarsi per 10mila km, dal Giappone al Cile: fanno solo 3 click brevi. Gli EC1 dell’Atlantico emettono 3 click piuttosto distanziati e 2 in breve successione. Gli EC3 invece 9 click di uguale e minima spaziatura.

Pulsioni “tribali”. In campo umano si sono a lungo considerate le differenze etniche come il risultato di pressioni ambientali, in base al clima e alle risorse disponibili, all’isolamento geografico, alla territorialità e alle specifiche attività produttive.

Questi parametri non sono applicabili ai capodogli perché vivono tutti nello stesso ambiente oceanico senza barriere geografiche, spostandosi liberamente. Diversamente dalle orche (e dagli umani) hanno tutti la stessa dieta: reperire cefalopodi nelle profondità oceaniche non crea competizione fra clan.
Perché allora si sono costruiti delle barriere mentali fra loro? L’ipotesi è che vi sia a priori nelle specie viventi più encefalizzate un impulso a definirsi socialmente, distinguendosi in modo chiaro e netto da altri gruppi della stessa specie.

Una decisione femminile. Nell’uomo, a livello di studi antropologici, si dice che siano di solito i maschi a inventarsi riti e segnali estetici distintivi per marcare l’appartenenza tribale ribadita dalle lingue. Nelle comunità dei capodogli, fondate sulla cooperazione delle femmine e l’estraneità dei maschi adulti, le promotrici divisive (in clan) sarebbero le femmine.

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Cetacei del Mediterraneo

I capodogli si esprimono con un alfabeto fonetico?

Il sistema di scambio di informazioni usato dai capodogli nelle loro interazioni sociali potrebbe essere più avanzato di quanto si credesse, e avvicinarsi a qualcosa di simile a un alfabeto fonetico. A dirlo è un nuovo studio prodotto da Project CETI (esatto: come il SETI, ma con la C – l’acronimo sta per Cetacean Translation Initiative), una ONG che da ormai sette anni lavora per decifrare il linguaggio dei cetacei con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Chiacchiere in compagnia. I capodogli comunicano attraverso una serie di suoni a impulsi (detti click), che ricordano il rumore di un martelletto battuto su un pezzo di legno e che producono soprattutto nel corso delle immersioni e durante attività sociali altamente collaborative, come la caccia.

Daniela Rus, Direttrice del Laboratorio di Computer Science e Intelligenza Artificiale the Massachusetts Institute of Technology, ha analizzato insieme ai colleghi quasi 9000 di queste sequenze di suoni, chiamate “code”, registrati tra il 2014 e il 2018 in un progetto di monitoraggio dei capodogli nelle acque attorno alla nazione insulare di Dominica, nei Caraibi orientali.

Variazioni sul tema. Con l’aiuto di algoritmi per la ricognizione di schemi ricorrenti, il team ha osservato che i capodogli usano per comunicare 18 diversi pattern di click (cioè 18 diverse code) e non 21 come si riteneva. Ma che questi codici di base possono essere alterati per dare origine a molti ulteriori livelli di complessità.

Qualche esempio? Ogni tanto una coda… standard si porta dietro, attaccato, un ulteriore click, all’inizio o alla fine: un segnale che gli scienziati pensano possa indicare che ora è il turno del capodoglio in ascolto di parlare.

Altre volte le code vengono “allungate” nel tempo, quindi rallentate, mantendo però lo stesso ritmo, e poi di nuovo portate alla velocità iniziale. Non si sa che cosa significhi, ma è stato notato che quando questo fenomeno avviene, spesso gli altri capodogli presenti producono impulsi sonori con le stesse caratteristiche ritmiche.

Infine, la stessa coda (per esempio: 1+1+3 click) può essere eseguita in unità di tempo diverse, per esempio in quattro quinti di secondo, in un secondo o in 1,25 secondi.

L’abc di una lingua ignota. L’orecchio e il cervello umani non sono in grado di catturare queste sfumature. Dunque ci eravamo probabilmente persi un’intera gamma di repertorio sonoro: gli scienziati sospettano possano esserci diverse centinaia di possibili combinazioni di click, anche se per ora ne hanno classificate 156. Possiamo considerarle una sorta di “alfabeto fonetico” dei capodogli, una serie di unità più semplici che questi cetacei combinano in diverse sequenze, forse per aggiungere complessità alle comunicazioni – un po’ come l’uomo combina diversi suoni per dare origine alle parole.

Dizionario di balenese. È un’ipotesi affascinante che per il momento non è stata validata, ma che se fosse vera, eleverebbe il linguaggio dei capodogli a uno dei più evoluti, se non il più avanzato in assoluto, tra le specie non umane. Altri scienziati sono invece più cauti e pensano che le combinazioni di code siano più simili a una forma di musica, anziché a un linguaggio. Un modo di veicolare sensazioni, ma non codificato.

«I nostri prossimi passi mirano a decifrare il significato di queste comunicazioni ed esplorare le correlazioni a livello sociale tra ciò che viene detto e le azioni del gruppo» conclude Rus.

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