I robot possono fare da cat sitter?
Si chiama Cat Royale, ed è un’installazione artistica che mira a studiare la relazione tra robot e gatti. Presentata lo scorso anno al World Science Festival in Australia, ha da poco vinto anche un Webby Award (gli “oscar” dell’internet): si tratta di un progetto che vede come protagonisti tre gatti (Ghostbuster, Clover e Pumpkin) e un robot (Kino Gen3 lite). Vediamone i dettagli.
L’installazione. Una stanza a misura di felino, gli ideatori definiscono l’installazione “il paradiso dei gatti”: trespoli, passerelle, tane, cibo, tiragraffi, e perfino una fontana. Ghostbuster, Clover e Pumpkin – genitore e due figli – hanno passato qui sei ore al giorno per 12 giorni insieme a Kino Gen3 lite, un braccio robotico allenato con 7.000 video di gatti a interagire con loro. Dietro a tutto questo, l’occhio umano: il robot proponeva un’attività (per esempio raccogliere un gioco e farlo dondolare davanti ai gatti) e l’operatore umano decideva se fargliela eseguire o meno.
A ogni interazione gatto/robot è stato assegnato un “punteggio di felicità” sulla base del coinvolgimento dell’animale: otto videocamere monitoravano le attività che avvenivano nella stanza.
L’interazione. Robot e gatti hanno interagito con successo: una scena-tipo vedeva il braccio meccanico far roteare un giocattolo nel centro della stanza e i gatti dapprima osservarlo con curiosità, per poi avvicinarsi e giocare. Nonostante l’installazione si sia rivelata un successo, secondo gli autori sarebbe difficilmente riproducibile in casa per costi, misure e necessità di controllo umano costante.
«Il progetto cerca di rispondere alla domanda seguente: i robot sono in grado di badare ai nostri cari e potenzialmente a noi stessi?», spiega Steve Benford, uno degli autori. In effetti non tutti gli incontri tra animali e robot sono positivi come nel caso di Cat Royale: pensiamo ai cani guida, che si confondono quando vedono robot che effettuano consegne, o all’impatto negativo dei robot-tagliaerba sui ricci.
Qualche difficoltà. Se complessivamente l’esperienza è stata molto positiva, bisogna comunque sottolineare qualche difficoltà: prima fra tutti la necessità di avere uno sguardo umano costante – resa chiara da qualche “intoppo” risolto dall’intervento dell’operatore (una volta, per esempio, un boa di piume rimasto incastrato rischiava di rompere il robot o ferire uno dei gatti).
L’installazione ha inoltre messo in luce la furbizia dei gatti: il decimo giorno Clover è riuscita a sganciare un pezzo del braccio robotico impossessandosi del suo gioco preferito e rendendo necessario, ancora una volta, l’intervento umano.
Gli autori sottolineano però che l’interazione è stata positiva, perché ha stimolato l’istinto biologico del gatto (la predazione), permettendole di afferrare, manipolare e spostare gli oggetti (la preda).
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