Venezia può tassare, ma per le città d’arte serve di più che una logica di balzelli
“Alt! Chi siete? Cosa portate? Uno zecchino!”. Trasportando in Laguna la gag d’ambiente toscano di Benigni e Troisi, il risultato apparente è sempre quello di un paese inchiodato a pedaggi e balzelli, alle sue piccole inesorabili tasse per sopravvivere. Ognuno per sé, le città d’arte soprattutto. Le città d’arte come Venezia – ma Roma, Firenze o Napoli non fanno differenza, se non per densità di calca – che lottano centesimo per centimetro per vivere, convivere e sopravvivere ai turisti che le assediano. Ai turisti che portano pane e ricchezza (due anni di Covid e lacrime lo hanno dimostrato) ma anche costi, degrado, snaturamento di luoghi e stili di vita. Così arriva la decisione del comune di Venezia guidato da Luigi Brugnaro di introdurre, dal 1° aprile 2023, una nuova piccola tassa erga omnes, ma soprattutto sui turisti: un’addizionale di 2 euro e 50 sul biglietto aereo per ogni passeggero, residente o meno, in partenza dall’aeroporto Marco Polo. Si stima un gettito lordo di 11,5 milioni annui, che per un comune in deficit, e che tra i suoi centri di costo ha anche la gestione del turismo, qualcosa sono. Nascono polemiche, ovvio. Sia dell’opposizione del Pd (solitamente invece così favorevole a ogni tassa per il territorio), di Confturismo e degli albergatori (e fin qui è scontato), ma anche di parte dei cittadini, “serve solo a far schei”, anche se quei schei servono per non tagliare i servizi. Va così per tutti, polemicuzze poco sensate incluse, ma per città come Venezia o Roma la sfida è più difficile. Da sempre Brugnaro pensa a come regolare meglio anche il turismo mordi e fuggi, quello che non si ferma in albergo, degrada soprattutto Rialto e San Marco e lascia pochi soldi anche al commercio.
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