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Storia del “metro”

La storia dell’unità di misura della lunghezza, narrata attraverso le varie definizioni che ne sono state date e i campioni che ne sono stati realizzati.
“Mai niente di più grandee di più semplice, di più coerentein tutte le sue parti, è uscitodalla mano degli uomini”.Antoine- Laurent Lavoisier ( Parigi 1743 – 1794 ).
Il “metro” (simbolo [m]) è l’unità di misura della lunghezza nel “Sistema Internazionale di unità” ( SI ) , adottato dalla XI Conferenza Generale di Pesi e Misure, riunita a Parigi tra l’11 e il 20 ottobre 1960.
In questo articolo farò vedere come, negli anni che vanno dal 1791 al 1983, del metro sono state date ben 4 definizioni: 3 basate su un campione naturale, indistruttibile e invariabile nel tempo, ed una ( la seconda ) su un campione convenzionale, soggetto ad usura e a mutamenti col passare degli anni.
Nel corso della storia, l’uomo ha ideato un numero incredibile di unità di lunghezza.
Gli Egiziani adottarono il “cubito filateriano”, lunghezza dell’avambraccio misurata dal gomito alla punta del dito medio, equivalente a 0,525 m.
I Greci impiegavano il “piede attico” = 0,296 m; lo “stadio” valeva 600 piedi = 177,60 m.
I Romani introdussero il “piede” = 4 “palmi” = 16 “dita” = 0,2957 m.
Gli Inglesi introdussero come unità di misura delle lunghezze il “pollice” (“inch”) = 2,54 cm, il “piede” (“foot”) = 12 pollici = 30,48 cm e la “yarda” (“yard”) = 3 piedi = 91,44 cm.
Il re Enrico I ( 1068 – 1135) fece definire la “yarda inglese” come la distanza fra la punta del suo naso e l’estremità del dito medio della mano sinistra alzata fino all’altezza della spalla.
La regina Elisabetta I  (1533-1603) fece realizzare un campione della yarda con una sbarra di bronzo ufficialmente depositata negli archivi di Stato.
La “yarda” è teoricamente definita dalla “distanza” intercorrente fra due tratti di riferimento, incisi su due pasticche d’oro, applicate alla sbarra campione di bronzo, chiamata “Imperial Standard Yard” e mantenuta alla temperatura di 62°F, ossia 16,666° C.
Solo nel XVII secolo cominciò ad imporsi il problema di introdurre una nuova unità di misura, la cui definizione non fosse empirica, e che potesse essere accettata in sede internazionale per uso universale.
Dopo alcune proposte non accolte, perché poco pratiche, durante la Rivoluzione Francese l’ Accademia delle Scienze, nella seduta del 30 marzo 1791, stabilì che l’unità di lunghezza sarebbe stata assunta pari alla lunghezza della quarantamilionesima parte del meridiano terrestre passante per Parigi e che avrebbe ricevuto il nome di “metro” ( dal greco “métron”, misura).
Rilevamenti effettuati nell’intento di definire il metro con precisione vennero condotti da due gruppi formati dai più famosi geodeti di quel tempo, rispettivamente diretti dagli scienziati Jean Baptiste Joseph Delambre e Pierre François André Méchain, che misurarono la lunghezza dell’arco del meridiano passante per Parigi, limitato dalle città di Dunkerque (sulla costa del passo di Calais) e Barcellona. Detti rilevamenti consentirono la definizione del metro in 0,513074 “tese” (francesi), essendo 1 tesa = 1,94904 m.
Il primo campione del metro fu realizzato nel 1799 ed era costituito da un regolo di platino di sezione rettangolare (25 mm di larghezza e 4 mm di spessore), e la distanza tra le facce terminali ne stabiliva l’esatta lunghezza.
Si trattava, dunque, di un “campione ad estremità”, che fu depositato negli Archivi del Conservatorio delle Arti e Mestieri di Parigi.
Nel 1874 venne realizzato un “campione a tratti” con una lega contenente il 90% di platino e il 10% di iridio, con sezione ad “X”, lungo 1010 mm, sul quale furono incisi con una punta di diamante due sottilissimi tratti paralleli, la distanza fra i quali individuava la lunghezza del metro. Esso venne conservato nel Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres, alla periferia di Parigi. Quello che diverrà il Prototipo Internazionale, contrassegnato dalla lettera “M” e avente lunghezza complessiva di 1020 mm, venne realizzato fra il 1882 e il 1888.
La “Conferenza Diplomatica del Metro”, convocata a Parigi nel 1875, confermò la definizione originaria che faceva riferimento alle dimensioni naturali:
“Il metro è una lunghezza pari alla quarantamilionesima parte del meridiano terrestre passante per Parigi”.
Frattanto, misure più accurate portarono alla conclusione che il regolo campione conservato a Sèvres è di circa  2,28·10-4m più corto della quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. Ciò svincolò l’unità di misura della lunghezza da ogni relazione geometrica con le dimensioni della Terra.
La “I Conferenza Generale di Pesi e Misure”, riunita a Sèvres nel settembre del 1889, giunse pertanto alla seguente nuova definizione:
“Il metro è la distanza fra due tratti incisi sul Prototipo in platino-iridio conservato nell’Ufficio Internazionale di pesi e Misure di Sèvres, osservato alla temperatura del ghiaccio fondente, alla pressione atmosferica normale, disposto orizzontalmente nelle condizioni convenzionali specificate”.
Copie (campioni secondari) del metro campione sono state distribuite agli uffici nazionali di metrologia di tutto il mondo. All’Italia venne assegnato nel 1889 il prototipo n.1, che è custodito nell’Ufficio Metrico Centrale di Roma. Esso differisce dall’originale per meno di 11 parti su 1 milione, a 0° C.
Il confronto fra la lunghezza di un corpo e il metro campione può essere eseguito con una precisione di 2-5 parti su 107, osservando, per mezzo di un comparatore dotato di un microscopio con forte ingrandimento, i tratti tracciati sulla sbarra metrica. Il limite è posto dalla grossolanità dei tratti che costituiscono gli estremi del metro.
La definizione del metro basata sulla sbarra metrica presenta due svantaggi: non solo la precisione è inadeguata per la maggior parte degli scopi scientifici, ma confrontare le lunghezze con una sbarra conservata in un laboratorio di metrologia è piuttosto scomodo.
Si pensò allora di paragonare la lunghezza del metro depositato a Sèvres con la lunghezza d’onda λ, misurata con l’interferometro di Albert Abraham Michelson (1852-1931), di una determinata radiazione monocromatica e di definire quindi l’unità di lunghezza come un multiplo sufficientemente grande di tale λ (“metro ottico”).
Le radiazioni suggerite a tale scopo furono tre: la riga rossa del cadmio Cd (numero atomico Z = 48; λCd= 643,85 nm); la riga verde del mercurio Hg (Z = 80; λHg= 546,07 nm); e quella arancione del cripton Kr (Z = 36; λKr= 605,78nm).
Nell’anno 1913 la lunghezza del metro campione era uguale a 1.553.164,13 lunghezze d’onda della riga rossa del cadmio.
In seguito, dopo lunghe discussioni, si optò all’unanimità per la riga arancione del cripton.
La “XI Conferenza Generale di Pesi e Misure”, riunita a Parigi, così decise alle ore 18 del 14 ottobre 1960:
“Il metro è la lunghezza pari a 1.650.763,73 lunghezze d’onda nel vuoto della radiazione corrispondente alla transizione fra i livelli  2p10e 5d5  dell’atomo di cripton 86”.
Col “metro ottico” è possibile raggiungere un grado di precisione di qualche unità su  109(qualche cm su 10.000 km).
Il 20 ottobre 1983 la “XVII Conferenza Generale di Pesi e Misure” ha adottato una nuova definizione di metro:
“Il metro è la lunghezza del tratto percorso dalla luce, nel vuoto, in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458  secondi”.
Ciò equivale a fissare per convenzione il valore della velocità della luce c, determinata indirettamente nel 1972, quando furono ottenuti per la prima volta dei valori molto precisi della lunghezza d’onda λ e della frequenza ν del laser ad elio-neon, stabilizzato per assorbimento saturo nel metano CH4 (ricordiamo che vale la formula c = λν).
Con questa definizione del metro è possibile raggiungere un grado di precisione di 10-11  (1cm su 1 milione di km).
È evidente comunque che l’unità di lunghezza non è più indipendente da quella di tempo, poiché questa interviene nella definizione di metro.
Ritengo pertanto opportuno ricordare la più recente definizione di “secondo” [s] (“XIII Conferenza Generale di Pesi e Misure”, 1967):
“Il secondo è la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo del cesio 133”. (Z = 55; λCs= 3,26 cm; microonde).
Con questa definizione del secondo si possono confrontare intervalli di tempo con una precisione di 1 parte su 1012, corrispondente a 1 secondo su 30.000 anni. Le ricerche attuali condotte con altre vibrazioni atomiche (in particolare quelle associate al maser a idrogeno) indicano che si disporrà presto di un orologio avente una precisione di 1 parte su , ossia di 1 secondo su 3 milioni di anni.

Note

Antoine Laurent Lavoisier, citato nell’epigrafe di questo articolo, è considerato il fondatore della chimica moderna, perché mostrò l’importanza decisiva delle misure quantitative, confermò il principio di conservazione della massa nelle reazioni chimiche e creò la nomenclatura chimica che in gran parte noi usiamo ancora.

Per finanziare le sue ricerche scientifiche, assunse il lucrosissimo, ma impopolare, ufficio di appaltatore generale delle gabelle.
Durante la Rivoluzione Francese, dopo cinque mesi trascorsi in carcere, condannato in base ad accuse speciose, Lavoisier venne ghigliottinato l’8 maggio 1794.

L’articolo è la riproduzione di: Domenico Bruno, La storia del metro, Periodico di Matematiche 1/2018

BIBLIOGRAFIA

BERNARDINI, Fisica sperimentale. Parte I. Veschi, Roma, 1962
BRUNI, Chimica generale e inorganica. Tabmurini, Milano, 1960
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GIULIANO, I sistemi di unità di misura in metrologia. Universalia Editrice, Napoli, 1965
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J.B. MARION, La fisica e l’universo fisico. Zanichelli, Bologna, 1976
PERUCCA, Fisica generale e sperimentale. U.T.E.T., Torino, 1945.
RICAMO, Guida alle esperimentazioni di fisica. I e II. Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1964.

Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione.

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