Perseverance filma una eclissi… marziana!

Lo scorso 8 febbraio 2024 la luna marziana Phobos, con la sua forma irregolare (le sue dimensioni massime, lungo gli assi, sono: 13,5 x 10,8 x 9,4 km), è stata vista transitare davanti al Sole dal rover Perseverance della NASA, che in quel momento si trovava nel cratere Jezero di Marte. La fotocamera Mastcam-Z, posizionata sul lato sinistro del rover, ha immortalato il satellite in una serie di foto inviate al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA.

Un’eclissi lunare insolita. Le dimensioni e la forma di Phobos non permettono al satellite di coprire completamente il Sole ma oscura solo una porzione della luce solare, creando un effetto simile a un “occhio finto gigante”, diverso dalle maestose eclissi di Sole che ammiriamo sulla Terra quando la Luna si frappone tra il nostro Pianeta e la nostra stella.

Phobos e il “satellite minore” Deimos (che ha dimensioni 7,5 x 6,1 x 5,5 km) furono scoperti nel 1877 da Asaph Hall e prendono il nome dalle parole greche “Paura” e “Terrore”. La loro origine è incerta: potrebbero essere asteroidi catturati dalla gravità di Marte o frammenti del pianeta stesso, espulsi da un gigantesco impatto agli albori del sistema solare.

Un destino in collisione. A differenza della nostra Luna, che si allontana dalla Terra, Phobos è attratto da Marte ad una velocità di 1,8 metri ogni secolo. Ci vorranno circa 50 milioni di anni prima che la luna si schianti sul pianeta o si frantumi in un anello simile a quello di Saturno. Nel frattempo, le eclissi di Sole marziane saranno sempre più simili a quelle terrestri.

Per svelare i misteri di Phobos. Nel 2026, una missione giapponese atterrerà sul satellite per raccogliere campioni di suolo da riportare sulla Terra.

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Partiti! Artemis I sta volando verso la Luna

Dopo la delusione dello scorso 29 agosto, e dei successivi tentativi, quando la partenza di Artemis I fu rinviata per un problema a uno dei 4 motori RS-25, il momento tanto atteso è arrivato alle ore 7:47 (ora italiana) di oggi 16 novembre 2022: l’enorme razzo Sls (Space Launch System), un bestione alto ben 98 metri con a bordo la capsula Orion (in questa occasione, priva di equipaggio umano), si è staccato come da programma dalla rampa di lancio del complesso 39 del Kennedy Space Center in Florida (Usa). È dunque iniziata, ora per davvero, la missione Artemis I, una missione storica.
La destinazione è infatti la Luna a 450mila km di distanza. O meglio, una serie di orbite che la Orion, che nel frattempo si sarà staccata dall’Sls, compirà attorno al nostro satellite naturale (con ampiezze diverse), prima di riprendere la via di casa, circa 25 giorni più tardi, l’11 dicembre, dopo avere percorso un totale di circa 2.100.000 km.
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La missione in breve. Perché è cosi importante una missione dimostrativa senza equipaggio che durerà soltanto 25 giorni, dal 16 novembre all’11 dicembre?
Beh, prima di tutto, la missione non è così breve, sebbene siamo abituati a rover che girano su Marte per anni. Ma soprattutto la capsula Orion eseguirà precisamente le stesse manovre che in futuro verranno effettuate dagli astronauti a bordo della missione Artemis II che nel 2024 riporterà l’uomo in orbita lunare. Una cosa che non avveniva da più di 50 anni, dalla fine del programma Apollo.
Dalla sua riuscita dipende dunque il futuro della missione Artemis e il nostro ritorno sulla Luna. Ma come si svolgerà il viaggio della capsula Orion?

Il significato del logo Artemis

In alto a destra c’è la Luna, nostra prossima destinazione e “fulcro” dei nostri sforzi attuali.

Il vertice della A è puntato non sulla Luna, ma oltre. Significa che gli sforzi attuali non si esauriranno con la Luna, ma sono una preparazione di ciò che verrà dopo.La traiettoria va da sinistra a destra attraverso la barra della “A”, con una direzione opposta a quella del logo Apollo. Questo evidenzia una differenza: stavolta la Luna è una tappa del nostro percorso verso Marte, simboleggiato dal colore rosso della traiettoria.L’arco blu, infine, è la Terra, nostro punto di partenza e di vista: tutto ciò che impareremo e acquisiremo “tornerà” sul nostro Pianeta blu.
© Nasa

Dopo la partenza da Terra ed essere entrata per breve tempo in orbita terrestre bassa, la capsula Orion verrà spinta verso la Luna dal secondo stadio del razzo Sls. Nel momento in cui leggerete questa notizia, probabilmente la rotta Terra-Luna sarà già stata imboccata: il programma prevede che Orion lasci l’orbita terrestre dopo 1 ora e 38 minuti dal decollo (riguarda la partenza e scopri le varie fasi del lancio).
Quando Orion dopo qualche giorno raggiungerà il nostro satellite, effettuerà un volo radente (un flyby molto ravvicinato) a soli 100 km di altezza. A quel punto, il modulo di servizio, costruito in Europa e in Italia, accenderà i suoi motori inserendo Orion in orbita lunare. Si tratta di una cosiddetta “orbita retrograda distante”, ovvero la capsula ruoterà in senso contrario rispetto alla rotazione lunare e a una distanza fino a 64.000 km dalla Luna (la Stazione Spaziale, per intenderci orbita a 400 km di altezza).

Si tratta di un record, rispetto  al precedente di 16.000 km circa, raggiunto con la missione Apollo 13.
Nella prima settimana di ottobre, dopo circa un mese di orbite, Orion effettuerà un secondo flyby ravvicinato e si dirigerà verso casa. Successivamente il modulo di servizio (vedi foto che segue) si separerà da quello di comando (sono i due componenti della navicella Orion) e rientreranno in atmosfera: il primo brucerà, il secondo la attraverserà toccando i 40mila km/h di velocità, verrà rallentato da un paracadute e infine completerà il suo rientro l’11 ottobre con un bel tuffo nel mare al largo di San Diego (California).

La capsula Orion. Nella parte alta vi è il modulo di comando e sotto quello di servizio. Alla costruzione di quest’ultimo ha partecipato anche l’Italia grazie ad Asi e Leonardo. Serve a dare energia (grazie ai pannelli solari, costruiti in Italia), acqua e ossigeno al modulo di comando, dove alloggerà l’equipaggio.
© Nasa

La carica dei cubesat. A bordo non ci saranno astronauti in carne e ossa, ma tre manichini equipaggiati con una serie di sensori per raccogliere dati utili per le future missioni.
Del carico faranno parte inoltre 10 minisatelliti, cubesat, grandi come scatole di scarpe e destinati a svolgere vari esperimenti: Icecube, per esempio, che una volta in orbita attorno al nostro satellite naturale, userà uno spettrometro per studiare il ghiaccio lunare; NEA Scout, che dopo essere stato “liberato” si dirigerà, spinto da una vela solare, verso un asteroide per studiarlo da vicino.
L’unico componente di bordo a toccare il suolo lunare sarà il minisatellite giapponese Omotenashi, parte di una missione che ha l’obiettivo di dimostrare la possibilità di atterrare sulla Luna con un piccolo satellite a basso costo.

Il Moonikin Campos, che prende il nome da Arturo Campos, sarà presente in Artemis I, sulla navicella Orion. Il Moonikin Campos, insieme ad altri due manichini, Helga e Zohar, consentirà di misurare i dati relativi a radiazioni, accelerazioni e vibrazioni durante la missione; le informazioni raccolte da queste “repliche del corpo umano” saranno utili per le future missioni con equipaggio.
© Nasa

Il megarazzo. Se siete giunti fino a qui, vale la pena soffermarsi sul vero protagonista della partenza di oggi, il lanciatore Sls, alto 98 metri e con un diametro del primo stadio di 8,4 metri. È in grado di sprigionare una potenza di 39 meganewton e di lanciare verso la Luna 27 tonnellate di massa.
Si tratta di un lanciatore (vedi illustrazione qui sotto) che ha molto a che vedere con lo Space Shuttle. Come la navicella spaziale che fino al 2011 ha portato satelliti, telescopi e astronauti nello spazio, l’Sls ha motori principali RS-25 che bruciano idrogeno e ossigeno liquido. In più, come lo Shuttle, ha due booster laterali a combustibile solido. 
Sia i motori principali del primo stadio sia i booster laterali sono riciclati dal programma dello Space Shuttle.
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La Space Launch System (Sls), il gigantesco razzo impiegato dalla Nasa per il programma Artemis è un colosso alto 98 metri il cui sviluppo (insieme alla capsula Orion) è costato, dal 2011 a oggi, oltre 23 miliardi di dollari. Pur riutilizzando motori e altri componenti, ogni lancio “costa” 2 miliardi di dollari. Al lancio, produce quasi 4.000 tonnellate di spinta.
© Nasa / Focus

Al momento ci sono almeno 16 motori RS-25 riciclati sufficienti per 4 lanci del Sls (che adopera 4 motori ciascuno) e booster per otto lanci. Dopodiché la Nasa produrrà nuovi motori e nuovi booster.

Artemis 1, 2 e 3. Come detto, questa è la prima di tre missioni che dovrebbero consentire di riportare gli Stati Uniti e i suoi alleati (tra i quali l’Europa, con l’Italia) sulla Luna.
Dopo Artemis I sarà infatti il turno di Artemis II (prevista per il 2024, con l’obiettivo di portare un equipaggio di astronauti a orbitare attorno alla Luna senza scendere sulla superficie) e a seguire Artemis III (non prima del 2025, con l’obiettivo dell’allunaggio).
Il nome Artemis – Artemide nella mitologia greca è la sorella di Apollo – richiama immediatamente alla mente il programma Apollo, che più di mezzo secolo fa consentì al genere umano di raggiungere uno dei traguardi più esaltanti si sia mai prefissato.
Ma, sottolineano alla Nasa, non si tratta semplicemente di un secondo tempo di quel film: con Artemis l’uomo torna dunque sulla Luna, esplorando parti a oggi sconosciute, ma si prepara anche per raggiungere la sua destinazione finale, Marte. Lo scopo è “imparare a vivere nello spazio”, sfruttando le risorse della Luna per generare l’energia, costruire gli strumenti e produrre il cibo necessario per chi dovrà abitarci.

Lo spazioporto. Con Artemis III inizierà anche la parte più ambiziosa del progetto, cioè la costruzione del Lunar Gateway: si tratta di uno “spazioporto” in orbita attorno alla Luna, dove le navicelle spaziali potranno attraccare e darsi il cambio, in modo simile a quanto accade oggi sulla Stazione spaziale internazionale.
Per sbarcare sulla Luna da lì gli astronauti useranno una navetta, la Starship, e dopo essere sbarcati raggiungeranno la base permanente al polo sud (Artemis Base Camp) a bordo di jeep lunari.
La Nasa ha dichiarato ufficialmente che Artemis III non arriverà prima del 2025, ma anche l’ipotesi del 2026 potrebbe essere ottimistica.

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20 luglio 1969, Apollo 11: ecco la Luna

Su Marte scorrevano fiumi molto impetuosi

Sono ormai più di 460mila (alla data del 15 maggio 2023) le immagini riprese dal rover Perseverance della NASA e inviate a Terra, dal suo epico sbarco su Marte a febbraio 2021. Il rover atterrò in prossimità del delta di un fiume che ora, dalle ultime immagini, sembra mostrare segni di quello che una volta era un corso d’acqua parecchio turbolento, più profondo e più veloce di quanto gli scienziati abbiano mai visto in passato. 
a caccia della vita. Il fiume faceva parte di una rete di corsi d’acqua che confluivano nel cratere Jezero, l’area che il rover ha esplorato fin dal momento dell’atterraggio. La comprensione di questi ambienti, che un tempo lontanissimo erano ricchi d’acqua, potrebbe aiutare gli scienziati nei loro sforzi per cercare segni di un’antica vita microbica che potrebbe essere rimasta preservata nelle rocce marziane.

In questi giorni, Perseverance sta esplorando la cima di un deposito di rocce sedimentarie a forma di ventaglio, alto circa 250 metri e caratterizzato da strati curvi che suggeriscono la presenza di acqua in movimento. Vedendo quel materiale gli scienziati si sono chiesti se quell’acqua scorresse in fiumi relativamente poco profondi – più vicini a ciò che il rover Curiosity della NASA ha trovato nel Gale Crater – o in un sistema fluviale più imponente.
Nuove immagini. Due nuovi mosaici, ottenuti mettendo insieme centinaia di immagini catturate dallo strumento Mastcam-Z di Perseverance, mostrano l’esistenza di ciottoli e grani di sedimenti grossolani. «La loro presenza fa pensare a un fiume ad alta energia che trasportava un sacco di detriti. Più potente è il flusso d’acqua, più facilmente è in grado di spostare pezzi di materiale più grandi», ha affermato Libby Ives, ricercatrice presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California, che gestisce il rover Perseverance. 

Anni fa, gli scienziati, attraverso immagini di sonde in orbita marziana, avevano notato la presenza di una serie rocce stratificate a formare bande all’interno del cratere Jezero, che hanno soprannominato “l’unità curvilinea”. Ora quelle bande sono sotto gli occhi di Perseverance e, grazie ai primi rilievi eseguiti dagli scienziati, vi è ora la certezza che quegli strati vennero formati da acqua che scorreva prepotentemente. Ma quel fiume – si sono chiesti i ricercatori – assomigliava maggiormente al Mississippi, che si snoda come un serpente attraverso il paesaggio, o ad un fiume intrecciato come il Platte del Nebraska, che forma piccole isole di sedimenti chiamate “banchi di sabbia”?” 

Le ipotesi. Visti dal suolo gli strati curvi appaiono disposti in file che si increspano attraverso il paesaggio. Ma potrebbero essere i resti degli argini del fiume che si sono spostati nel tempo o i resti di banchi di sabbia che si sono formati nel fiume stesso. Il dubbio non è ancora stato risolto. Gli strati (che si vedono nella fotografia) erano probabilmente molto più alti in passato. Gli scienziati infatti, ipotizzano che dopo che questi cumuli di sedimenti si trasformarono in roccia, siano stati “sabbiati” dal vento nel corso degli eoni e scolpiti fino alle loro dimensioni attuali. 

La collina Pinestand, su Marte. Osservando slla destra si osservano degli strati puntare verso il cielo. Anch’essi potrebbero essere il risultato di sedimenti fluviali.
© NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS

«Il vento ha agito come un bisturi tagliando le cime di questi depositi», ha detto Michael Lamb di Caltech, uno specialista fluviale e collaboratore del team scientifico di Perseverance. Un secondo mosaico catturato da Perseverance mostra una collina isolata, chiamata Pinestand (foto sopra) con strati sedimentari che si innalzano verso il cielo. 
Cose mai viste. Gli scienziati pensano che anche quegli strati potrebbero essersi formati all’interno di un fiume potente, sebbene questa non sia l’unica ipotesi. «Quegli strati sono insolitamente alti per i fiumi sulla Terra», ha detto Ives. «Ma, allo stesso tempo, il modo più comune per creare questo tipo di morfologia sarebbe proprio l’esistenza di un fiume». Sottolinea Katie Stack Morgan del JPL, vice project scientist di Perseverance: «La cosa eccitante qui è che siamo entrati in una nuova fase della storia di Jezero. Ed è la prima volta che vediamo ambienti come questo su Marte. Stiamo pensando ai fiumi su una scala diversa rispetto a prima».

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Albe e tramonti alieni

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