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Perché l’aria in Pianura Padana è irrespirabile?

La notizia è stata molto ripresa online e fa rabbrividire: in base a un’analisi del sito svizzero IQAir, una compagnia privata che si occupa di qualità dell’aria, lo smog nella Pianura Padana in questi giorni ha superato ampiamente livelli considerati limite per la salvaguardia della salute dei cittadini.
Domenica 18 febbraio l’aria respirata a Milano avrebbe addirittura avuto un indice di qualità dell’aria (Air Quality Index, un indicatore di sintesi che mette insieme vari parametri sulle concentrazioni di inquinanti) peggiore di quello delle megalopoli più inquinate al mondo, come Dacca (la capitale del Bangladesh), Lahore (Pakistan) e Nuova Delhi (India).
La gravità della situazione è anche visibile dalle rilevazioni dei satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), come si vede nel video a fine pagina.

Che cosa ha determinato una situazione così critica proprio in questi giorni? Quali sono le cause e come ci si deve comportare?
«La Pianura Padana è una delle zone più inquinate d’Europa a causa di un insieme di condizioni», spiega a Focus.it Francesco Petracchini, Direttore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico (IIA) del CNR. «Circondata da montagne, senza città costiere né venti favorevoli, è un’area ad alta densità abitativa ma anche altamente utilizzata per attività agricole, industriali e allevamenti intensivi. Questo genera forti emissioni di inquinanti che permangono spesso in atmosfera.
Attualmente c’è questo effetto aggiuntivo legato ai cambiamenti climatici che stanno generando pesanti anticicloni che bloccano la circolazione in Europa ma soprattutto sull’area mediterranea. Questi, nei periodi invernali, quando non c’è forte trasporto di inquinanti perché l’irraggiamento solare è limitato, generano una forte stabilità atmosferica: una condizione anomala che prima non avevamo e che incrementa le problematiche esistenti. I giorni di superamento dei limiti aumentano, è un tema che ritrovemo nei prossimi anni».  

Il ruolo di agricoltura e riscaldamento. Tra le cause ci sono sicuramente le emissioni inquinanti del settore dei trasporti, ma non solo. Secondo una ricerca dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia in collaborazione con ISPRA il 54% delle polveri sottili respirate in Lombardia dipenderebbe da riscaldamento domestico e allevamenti intensivi. Che cosa c’entrano quello che mangiamo e come ci riscaldiamo con lo smog?
«Esistono diversi inquinanti, ma in Pianura Padana i più problematici sono il particolato e i biossidi di azoto», chiarisce Petracchini. «Come particolato noi misuriamo il PM10 e il PM2.5. Il 2.5 è quello inferiore ai 2,5 micrometri di diametro: sono le particelle più pericolose perché riescono a penetrare più facilmente nell’apparato respiratorio.

Il particolato ha una chimica diversa a seconda di dove ci si trova: quello respirato vicino al mare è diverso da quello di una strada inquinata dove ci sono composti derivanti dalla combustione. Una parte di particolato viene emessa direttamente là dove la respiriamo, ma una buona parte è costituita da inquinanti secondari che si formano in atmosfera in seguito a reazioni chimiche e fisiche. Dove c’è stabilità atmosferica, come in Pianura Padana, i gas hanno tempo per trasformarsi, e ciò che viene emesso sotto forma gassosa, come l’ammoniaca prodotta in agricoltura (NH3), lo ritroviamo dopo settimane nel particolato sotto forma di nitrati. Ecco perché quello che indirettamente non sembra una causa invece lo è: oltre il 50% del particolato che si respira in Pianura Padana è legato al riscaldamento residenziale e agli allevamenti.
Questo è un tema importante: stiamo arrivando a un punto in cui la mobilità conta, ma su alcuni inquinanti conta meno di altri in certe zone. Serve un intervento integrato su più fronti: decarbonizzare i trasporti è fondamentale, ma dobbiamo anche decarbonizzare il riscaldamento domestico, intervenire sulla gestione degli allevamenti e dell’agricoltura che abbiamo in queste zone».

Rimanere al chiuso. Il nesso tra smog e salute emerge con sempre maggiore chiarezza. Come dovremmo comportaci in questa situazione?
«Ai soggetti fragili, a chi ha patologie, a bambini e anziani, è consigliato in questi casi rimanere il più possibile in ambiente indoor: le correlazioni tra ospedalizzazioni e concentrazioni di inquinanti ci sono e gli impatti aumentano. Ora non possiamo che aspettare che arrivi la pioggia e che il meteo faccia il lavoro di pulizia, ma nel lungo periodo bisogna intervenire con ancora più ambizione per tutelare i cittadini. In Italia ogni anno si rilevano circa 60.000 decessi correlabili a patologie legateall’inquinamento atmosferico», dice Petracchini.

Un incentivo a migliorare. Secondo le concentrazioni di inquinanti atmosferici rilevati sabato 17 (l’ultimo giorno per cui ci siano dati disponibili mentre scriviamo) da ARPA Lombardia, quel giorno il PM2.5 ha avuto una media giornaliera di 76 μg/m³ (microgrammi per metro cubo di aria), il Pm10 di 100 μg/m³ quando il valore limite è di 50. Il biossido di azoto 88 μg/m³ e l’ozono 71 μg/m³.
«Non credo che l’aria che respiriamo sia confrontabile con quella di Nuova Delhi o altre zone», dice Petracchini. «È chiaro che nel corso dei decenni passati la qualità dell’aria è migliorata, però viviamo in una zona particolarmente sfavorevole e questo è utile come sprone per intervenire quanto prima con politiche innovative.

In Parlamento Europeo è in discussione una nuova normativa sulla qualità dell’aria che tenderebbe da qui a 5 anni a dimezzare le concentrazioni di alcuni inquinanti. Se già non ci riusciamo ora, sarà ancora più difficile rispettare nuovi limiti più bassi degli attuali in vigore».

Il video. Come detto, la situazione è illustrata efficacemente da un’animazione realizzata da Esa in base ai dati raccolti a gennaio 2024 dai satelliti ambientali Sentinel della rete Copernicus. 

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Quando l’inquinamento diventò un colore: il fumo di Londra

È un grigio scuro con una punta di blu. Periodicamente torna di moda perché è una tinta sobria ed elegante (sempre che si possa attribuire questa caratteristica a un colore). Sto parlando del cosiddetto ‘fumo di Londra‘, colore noto anche come ‘grigio Londra’.

Se volessimo ottenerlo al computer, ad esempio con Photoshop, dovremmo usare una di queste miscele.

Il risultato è un tono di grigio leggermente ‘freddo’, un colore un po’ metallico.

Ma da dove arriva questa denominazione? Molti fanno risalire la codifica di questo colore al ‘Grande smog‘, un gravissimo episodio di inquinamento avvenuto a Londra tra il 5 e il 9 dicembre del 1952.
A creare quella mortale cappa di smog (che provocò oltre 12.000 vittime) fu una concomitanza di cause diverse: lo spostamento dell’anticiclone delle Azzorre sull’Atlantico che provocò la formazione di uno strato di aria fredda e immobile su Londra; il conseguente addensamento di una fitta nebbia dovuta alla condensa dell’aria umida e l’abbassamento delle temperature che spinse gli abitanti ad aumentare il consumo di carbone per il riscaldamento domestico, provocando un’enorme dispersione di particelle di fuliggine che si sommarono a quelle delle fabbriche e delle centrali elettriche.

Gli effetti furono pesantissimi: la circolazione automobilistica divenne pressoché impossibile, i pedoni si smarrivano tra le strade e vennero persino chiusi teatri e cinema poiché il fumo penetrato al loro interno non rendeva visibile il palco. Ma l’aspetto più drammatico fu l’impennata di malattie respiratorie dovute ai livelli altissimi di acido solforico nell’aria che portarono nell’immediato a circa 4.000 decessi.
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Qualche anno più tardi, quando la classe politica si rese conto della correlazione tra quell’evento e i danni provocati alla salute dei cittadini, il governo inglese emanò il Clean Air Act, uno dei primi provvedimenti legislativi moderni volto a ridurre le emissioni inquinanti. Una legge che sostanzialmente decretò la fine dell’era del carbone e lo spostamento fuori dalle città di tutte le attività produttive.
Quanto al color fumo di Londra, come dicevo sopra, la sua  nascita viene spesso associata a questo episodio per via della tinta grigio scuro assunta dall’aria della città. Eppure, spulciando tra la letteratura legata ai colori, ho trovato una citazione del fumo di Londra (descritto in francese come fumée de Londres) già nel testo di Eugéne Chevreul del 1864 in cui pubblicò il suo famoso cerchio cromatico (quello che ispirò a Seurat la tecnica puntinista), il Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels à l’aide des cercles chromatiques.

Secondo il chimico francese il fumo di Londra è una sfumatura del nero di Ginevra, tinta che qualche pagina dopo viene descritta come una tonalità di blu.Ma più che capire quale fosse il tono esatto del fumo di Londra, quello che è interessante osservare è che già negli anni Sessanta dell’Ottocento, quasi un secolo prima del Grande smog, l’inquinamento londinese aveva già dato il suo nome a un colore!
D’altronde lo smog delle città inglesi era comparso già nel primo Ottocento con gli effetti della Rivoluzione industriale: la combustione del carbone riempiva l’aria di fumo che, mescolandosi con la nebbia, dava luogo a coltri spesse e irrespirabili. Lo stesso termine smog deriva proprio dalla fusione tra smoke (fumo) e fog (nebbia).

Di questo fenomeno ha scritto un testimone d’eccezione, lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870). Nel suo Tempi difficili del 1854, un romanzo ispirato all’immaginaria città industriale di Coketown, racconta:
«Era una città con mattoni rossi o, per meglio dire, di mattoni che sarebbero stati rossi se fumo e cenere lo avessero permesso: così come stavano le cose, era una città di un rosso e di un nero innaturale come la faccia dipinta di un selvaggio; una città piena di macchinari e di alte ciminiere dalle quali uscivano, snodandosi ininterrottamente, senza mai svoltolarsi del tutto, interminabili serpenti di fumo.»

Questa immagine delle città inglesi, costellate da ciminiere e avvolte dal fumo, diventa in poco tempo anche un soggetto artistico come in questa veduta di Manchester del 1852 realizzata da William Wyld per la regina Vittoria.

L’inquinamento è visto curiosamente come un aspetto romantico del paesaggio, tant’è vero che è inserito all’interno di una bucolica visione con contadini e caprette.
Quarant’anni dopo, le atmosfere fumose delle città industriali diventano il soggetto principale del dipinto, come in questa tela di Lionel Walden dedicata al molo di Cardiff, la capitale del Galles che nel giro di un secolo vide un’enorme espansione grazie alle esportazioni di carbone.

L’inquinamento dell’aria non appariva come un problema ma come la manifestazione visibile del progresso. Quasi un’anticipazione dell’estetica del Futurismo, ma dipinta secondo le regole accademiche.
Tuttavia, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, lo smog non avrebbe solo preso il posto dei soggetti della tradizione ma sarebbe stato determinante nella nascita dell’Impressionismo. I ricercatori, infatti, hanno osservato come i dipinti di Turner (considerato per la sua pennellata larga e sfaldata un precursore dell’Impressionismo) e, successivamente, quelli di Monet, diventino anno dopo anno sempre più sfocati, in parallelo con l’aumento di anidride solforosa nel cielo.
Il celebre Pioggia, vapore, velocità del 1844 dipinto da William Turner non sarebbe quindi solo un esperimento di vaghezza, ma un preciso e realistico ritratto del livello di inquinamento presente nell’atmosfera inglese in quel periodo.

Allo stesso modo le vedute di Londra di Claude Monet dipinte alla fine del secolo, specialmente quelle del Parlamento inglese e del ponte di Charing Cross, sono il risultato di una densa coltre di smog, prima che di una tecnica basata sulle pennellate veloci.

Di questo aspetto, del fatto cioè che stesse dipingendo l’aria inquinata, Monet era perfettamente consapevole e in parte anche compiaciuto come rivela una lettera scritta alla moglie nel 1900:
«Sto lavorando molto duramente, anche se stamattina pensavo davvero che il tempo fosse completamente cambiato; quando mi sono alzato ho visto con terrore che non c’era nebbia, nemmeno un filo di nebbia: ero prostrato, e vedevo tutti i miei quadri finiti, ma a poco a poco i fuochi si sono accesi e il fumo e la foschia sono tornati.»

È la stessa foschia che aveva già immortalato Giuseppe De Nittis nel suo periodo londinese del 1878.

Questi pittori, dunque, hanno dipinto (e respirato) il famoso fumo di Londra e in effetti è proprio di quel grigio-azzurro di cui parlava Chevreul. Certo, fa un po’ specie che un fenomeno che oggi, giustamente, combattiamo, sia stato in qualche modo un motore della pittura. Ma tant’è: l’arte è sempre espressione di un’epoca e di una società. E noi dobbiamo osservarla in modo oggettivo, grati di tutte le storie che ci sa raccontare.

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