PRIMI UOMINI

AUSTRALOPITECO

PERIODO: 4 MILIONI DI ANNI FA

LUOGO: SAVANA AFRICANA

CARATTERISTICHE FISICHE: TESTA PICCOLA, CERVELLO POCO SVILUPPATO, LINEAMENTI SCIMMIESCHI, DENTI ROBUSTI, BIPIDE E ANDATATURA QUASI ERETTA CHE GLI PERMETTEVA DI VEDERE LONTANO E AVVISTARE MEGLIO CIBO O PERICOLI.

ALIMENTAZIONE: BACCHE, RADICI E RESTI DI ANIMALI.IL PIÙ FAMOSO SCHELETRO RITROVATO IN ETIOPA NEL 1974 È STATO CHIAMATO DAI PALEONTOLOGI “LUCY”.

HOMO HABILIS

PERIODO: 2 MILIONI DI ANNI FA

LUOGO: AFRICA ORIENTALE E MERIDIONALE

CARATTERISTICHE FISICHE: CRANIO PIÙ GRANDE DELL’AUSTRALOPITECO, MANDIBOLA E DENTI PIÙ PICCOLI, ARTI INFERIORI SIMILI A QUELLI UMANI, POLLICE OPPONIBILE.

ALIMENTAZIONE: FRUTTI E PICCOLI ANIMALI.HOMO ABILIS “UOMO ABILE” PERCHÉ AVEVA IMPARATO A CACCIARE GLI ANIMALI E A COSTRUIRE UTENSILI CON LA PIETRA SCHEGGIATA SOLO DA UN LATO, CHOPPER, SERVIVA A FRANTUMARE OGGETTI DURI, TAGLIARE RAMI, FARE LA PUNTA AI BASTONI, TAGLIARE CARNI E PELLI. PER DIFENDERSI DORMIVA SUGLI ALBERI E SI RIFUGGIAVA NELLE CAVERNE.

HOMO …..

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Chi ha inventato i primi strumenti di pietra?

Tre milioni di anni fa, sulle rive del lago Vittoria, nell’attuale  Kenya, bande di ominini macellarono con strumenti di pietra ippopotami, coccodrilli, tartarughe, bovidi e gazzelle. Non sappiamo se questi antenati scimmieschi, già bipedi come noi, cacciassero animali del genere, oppure se solo si erano impossessati delle loro carcasse trovandoli già morti, magari sottraendole a predatori. Ma una cosa è sicura: uno studio pubblicato sulla rivista Science – fra i primi firmatari Thoms Plummer del Queens Collage e Rick Potts dello Smithsonian, di New York – porta indietro di 600mila anni le conoscenze sull’uso di strumenti di pietra per la macellazione di animali e quindi di una dieta che comprendesse carne.

UNA MARCIA IN Più. Le ossa fossili ritrovate hanno segni inconfondibili di tagli e scarnificazione. Non solo: le analisi sulle superfici degli utensili indicano che furono usati anche per pestare cibi vegetali come radici, noci e altri frutti coriacei. In pratica, non conoscendo il fuoco, gli ominini avevano trovato il modo di rendere i cibi più digeribili, battendoli, spezzettandoli, riducendoli in poltiglia.

Questo adattamento, mediante l’uso di funzioni extra corporee, diede loro una marcia in più. Gli strumenti erano di quarzo, quarzite, riolite e granito. Servivano anche a rompere le ossa dei grandi animali per accedere al nutritivo midollo. Venivano ricavati staccando per percussione una o più schegge da un ciottolo. Oltre che per pestare, servivano a raschiare e a rompere legno, ossa e gusci. Le schegge, staccate, erano dei rudimentali rasoi per tagliare tendini e parti di carne.

Mani libere per costruire. Tutti questi utensili, ritrovati della località di Nyayanga, penisola di Homa, sul Lago Vittoria (330 utensili in mezzo a oltre 1.700 ossa fossili di animali), sono del tipo “olduvaiano”. Il termine deriva dalla famosa Gola di Olduvai, in Tanzania, dove i pionieri delle ricerche sulle origini dell’uomo, Louis e Mary Leakey, trovarono negli anni Cinquanta e Sessanta molti strumenti di questo tipo durante le campagne di ricerca in cui portarono alla luce diversi ominini.

Mary Leakey è stata alla fine degli anni Settanta anche la scopritrice delle orme fossili di Laetoli (in Tanzania), risalenti a 3,6 milioni di anni fa, testimonianza diretta della conquista dell’andatura bipede. Chi scrive andò a vedere quella pista di orme e incontrò la studiosa. «La stazione eretta ha rappresentato una tappa fondamentale della nostra evoluzione», disse Mary Leakey. «Le mani divennero libere dalla locomozione per trasportare oggetti e per costruire strumenti.

Questo creò un circolo virtuoso fra la capacità di costruire utensili e l’aumento del cervello».

Lo “Schiaccia noci”. Ai tempi della scoperta di Laetoli, i più antichi strumenti olduvaiani conosciuti avevano circa 2 milioni di anni ed era indicato come autore l’Homo habilis, che in effetti, con un cervello di 650 cm cubi, batteva quanto a intelligenza ipotetica ominini a lui contemporanei come l’Australopithecus africanus e il Paranthropus boisei che non superavano i 500 cm cubi di capacità cranica, più o meno come negli scimpanzé. Il Paranthropus era anche detto “schiaccia noci” per le sue possenti mascelle adatte a triturare cibi vegetali duri. Si pensava che avesse la dieta di un facocero.

Artefici a sorpresa. Con l’avanzamento delle ricerche l’olduvaiano è stato poi trovato anche in strati geologici più antichi, nel triangolo di Afar in Etiopia, a partire da 2 milioni e 600 mila anni fa. E ora, nel nuovo studio, la prima fase dell’olduvaiano viene portata più indietro, con i siti di Nyayanga che vanno da 3 milioni a 2,6 milioni di anni fa. L’ area geografica in cui era presente risulta ora estesa di oltre 1.300 km quadrati.
Va aggiunto che a Lomekwi, sulla riva occidentale del lago Turkana, sempre in  Kenya, sono stati trovati strumenti più primitivi, risalenti 3,3 milioni di anni fa. Ma chi erano i primi costruttori degli utensili olduvaiani? Non erano Homo habilis, in quanto mancano del tutto a Nyayanga (come a Lomekwi) parti fossili di questa specie, dal cervello più grande delle altre. L’Homo habilis probabilmente non era ancora comparso sulla scena dell’evoluzione. Invece, in uno dei siti di macellazione d’ippopotamo, si è scoperto un molare di Paranthropus.
«Una chiara associazione di un fossile di ominide con manufatti che solleva la possibilità che Paranthropus abbia fabbricato e/o cooptato strumenti di pietra», dicono i ricercatori nell’articolo su Science. Si tratta proprio dello “sciaccianoci”.

La cultura batte la natura. «Il Paranthropus di Nyayanga aveva molari piatti con scarsa capacità di taglio», continuano gli autori. «Tuttavia, la sua morfologia da vegetariano specializzato potrebbe non essere stata in contraddizione con l’uso di strumenti. Il taglio extra orale e il pestaggio con utensili di pietra avrebbero potuto fornire accesso alle carne delle carcasse e ai nutrienti ossei, rendendo il tessuto vegetale e animale più facile da masticare e digerire, consentendo potenzialmente al Paranthropus di espandere la sua dieta».

Stiamo parlando di un ominino che le conoscenze fossili più complete acquisite altrove indicano come alto 1,50 cm, con testa piatta su cui sporgeva una cresta sagittale, grandi mascelle e cervello delle dimensioni di uno scimpanzé. «Significherebbe che l’uso diffuso di utensili di pietra avvenne prima dell’aumento delle dimensioni del cervello, iniziato con Homo habilis», puntualizzano i ricercatori.
stessa firma. Un secondo molare di Paranthropus trovato in un altro sito di Nyayanga, pure di macellazione con manufatti di pietra, aumenta le probabilità che la “firma” sia proprio quella. E se un “semplice” Paranthropus poteva acquisire l’uso di utensili, significa che la cultura (prime forme di tecnologia e loro trasmissione) agiva fra gli ominini anche in modo indipendente dalla biologia delle singole specie. Cervelli con strutture da scimmie antropomorfe potevano inventarla e tramandarla. Per inverso, ominini con cervelli più grandi potevano anche non conoscere l’uso di strumenti. Magari alcuni gruppi no e altri sì.

SALTO EVOLUTIVO. Se i manufatti di Nyayanga venivano usati per tagliare, raschiare e martellare carne e ossa di grandi mammiferi oltre a tessuti vegetali, già alla loro comparsa gli strumenti olduvaiani permettevano di sfruttare una grande varietà di cibi. Sono stati trovati in ambienti boscosi, di savana aperta e vicino a corsi d’acqua, a conferma della versatilità di questa tecnologia litica.
Come suggerisce Rick Potts, uno degli autori dello studio, gli strumenti dovevano servire a pestare il cibo meglio dei molari di un elefante e a tagliarlo più dei canini di un leone. Insomma, fra gli ominini, il salto evolutivo fu di ricorrere alla tecnologia dove non si poteva arrivare con la propria natura biologica. E noi oggi siamo gli eredi di quella strategia.

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Gli ominidi più vecchi di Lucy

Culla dell’Umanità di nome e forse anche di fatto. I resti di alcuni esemplari di Australopithecus rinvenuti nella grotta di Sterkfontein, un sito paleoantropologico in Sudafrica noto come la “Culla dell’Umanità”, sarebbero molto più antichi di quanto si credesse.
Ominidi Prima di Lucy. Una ricerca scientifica che ne ha riesaminato l’età sfruttando un diverso metodo di datazione li colloca a quasi 4 milioni di anni fa: gli ominidi sarebbero vissuti persino prima di Lucy, la femmina di Australopithecus afarensis trovata ad Hadar, in Etiopia. Se la scoperta pubblicata su PNAS fosse confermata, avrebbe implicazioni importanti per lo studio dell’evoluzione umana. 

La culla dell’umanità. Nell’ultimo secolo di scavi il complesso di grotte calcaree di cui fa parte Sterkfontein, non lontano da Johannesburg, ha restituito centinaia di fossili di Australopithecus – inclusi lo scheletro quasi intatto di Little Foot, un australopiteco vissuto 3 milioni e 670mila anni fa, e il cranio fossile di un australopiteco denominato Mrs Ples, due celebrità della paleoantropologia. In totale questo insieme di cavità contiene un terzo dei primi fossili di ominidi trovati fino al 2010.

A quando risalgono i fossili? Datare questi resti è però molto difficile. Basandosi sull’età di fossili animali trovati nelle vicinanze o delle concrezioni calcaree adiacenti si è arrivati a datazioni controverse, comprese tra i 2 milioni di anni fa, cioè prima della comparsa del genere Homo, e i 3 milioni di anni fa (l’australopiteco Lucy, trovato invece in Africa orientale, risale a 3,2 milioni di anni fa). Tuttavia, le concrezioni calcaree si possono formare sopra sedimenti più antichi e secondo alcuni scienziati non sempre costituiscono un metodo di datazione affidabile.

Un approccio diverso. La maggior parte dei fossili di australopiteco di Sterkfontein è stato rinvenuto in un deposito di riempimento (l’insieme dei sedimenti depositati nei vuoti carsici) chiamato Member 4. Nel nuovo studio il team guidato da Darryl Granger, Professore di scienze terrestri, atmosferiche e planetarie della Purdue University (USA), esperto di datazione di depositi geologici, ha applicato a questo deposito lo stesso metodo di datazione già usato per Little Foot: ha esaminato cioè il decadimento radioattivo (ossia la loro trasformazione in altri atomi) di due rari isotopi di alluminio e berillio nella roccia in cui erano rimasti sepolti i resti degli ominidi.

«Questi isotopi radioattivi, conosciuti come nuclidi cosmogenici, sono prodotti dalle reazioni dei raggi cosmici altamente energetici vicino alla superficie del suolo, e il loro decadimento radioattivo fornisce la datazione del momento in cui le rocce furono sepolte nella grotta, quando vi caddero assieme ai fossili» spiega Granger. In pratica il metodo garantisce che lo strato di roccia in cui si trova il fossile da datare sia quello originario.

Quattro diversi crani di australopiteco rinvenuti nella grotta di Sterkfontein, in Sudafrica.
© Jason Heaton, Ronald Clarke/Ditsong Museum of Natural History

Più indietro. Dalla nuova analisi è emerso che i sedimenti in cui si trovavano gli esemplari di Australopithecus erano tutti di un’età compresa tra i 3,4 e i 3,7 milioni di anni fa, la stessa di Little Foot: questi depositi risalgono cioè all’inizio dell’era degli australopitechi e non alla fine, come in precedenza ipotizzato. Un dato, questo, molto importante per comprendere la storia e i luoghi dell’evoluzione umana e il ruolo, in essa, del Sudafrica.

Potenziali antenati. Come spiega Dominic Stratford dell’Università di Witwatersrand (Sudafrica), coordinatore delle ricerche a Sterkfontein, «ominidi più recenti, inclusi il Paranthropus e il nostro genere Homo, compaiono tra i 2,8 e i 2 milioni di anni fa. Basandosi sulle datazioni precedenti, gli australopitechi sudafricani erano troppo “giovani” per essere loro antenati, e si pensava pertanto che Homo e Paranthropus si fossero evoluti in Africa orientale», se non in contemporanea, quasi.

Dal nuovo lavoro emerge invece che Homo e Paranthropus, i cui resti sono peraltro presenti nella grotta Culla dell’Umanità, vissero un milione di anni dopo gli australopitechi presenti nel Member 4 di Sterkfontein. Potrebbero dunque aver avuto tutto il tempo di evolversi qui in Sudafrica e non soltanto in Africa orientale come lungamente ritenuto. Se confermata, la scoperta riporterebbe i fossili di questo sito e il Sudafrica in generale al centro della storia dell’evoluzione dell’uomo.

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10 errori comuni sull’evoluzione

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