Rachel Carson, ovvero l’ecologia spiegata ai ragazzi

Mai come in queste giornate di estate rovente, in cui si fanno più evidenti gli effetti del clima impazzito e dell’ambiente costretto a fare pesantemente i conti con i danni provocati dalla mano dell’uomo, potrebbe essere opportuno rileggere Rachel Carson e la sua battaglia ante litteram per l’ecologia.

Non solo. Ancora più utile sarebbe far conoscere questo fondamentale personaggio nella storia ambientale del Novecento alle generazioni più giovani che ai temi ecologici si mostrano oggi ben più sensibili e attente degli adulti. Ci ha pensato un bel libro pubblicato da editoriale Scienza, che a sessant’anni esatti dall’uscita del bestseller di Rachel Carson Primavera silenziosa – era il settembre del 1962 – racconta le battaglie della madre del movimento ambientalista e ci aiuta a prendere coscienza di quanto ancora c’è da fare se non vogliamo condannare per sempre il nostro pianeta.

Rachel Carson e la primavera dell’ecologia di Luca Novelli –

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Il 23 settembre Fridays for Future ha indetto uno sciopero globale per il clima, la storia dell’attivismo ambientalista, però, non è nato con Greta Thunberg, ha radici molto più lontane di quello che crediamo. Ecco la storia della biologa americana Rachel Carson, una Greta prima di Greta, che nel 1962 pubblicò Primavera silenziosa, un saggio, ormai divenuto un classico, che lanciò il movimento ambientalista negli Usa. Ripercorriamo le vicende della Carson attraverso l’articolo “Prima di Greta” di Magda Gattone, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Prima di Greta. “Ero una bambina piuttosto solitaria e trascorrevo gran parte del tempo nei boschi, osservavo gli uccelli, gli insetti, i fiori e imparavo”. Così diceva di sé Rachel Carson (1907-1964), ricordandosi ragazzina nelle quotidiane perlustrazioni nella grande fattoria dei genitori a Springdale (Pennsylvania, Stati Uniti), nei primi anni del Novecento. Quella bambina dalle gambe agili e gli occhi curiosi non poteva immaginare il ruolo che avrebbe avuto per la quasi inesistente cultura ambientalista dell’America negli anni Sessanta, né il peso delle sue denunce contro l’uso e l’abuso della chimica nell’agricoltura estensiva degli Stati Uniti (e non solo). Tutto questo arriverà molto tempo dopo, riassunto splendidamente nel libro Silent Spring (Primavera silenziosa) che Carson diede alle stampe nel settembre 1962, e che oggi è considerato una pietra miliare dell’ambientalismo. Ma questa storia va raccontata dall’inizio.

La casa di Springdale (Pennsylvania), dove Rachel Carson trascorse la sua infanzia nella natura.
© Ccbarr / Wikimedia commons

IDEALISTA coi piedi per terra. I segnali del futuro da ambientalista e divulgatrice scientifica erano chiari fin dagli anni di scuola, quando Rachel affidò alle pagine del giornalino scolastico le sue novelle giovanili intrise di amore per la natura. Nel 1929, ventiduenne, si laureò in biologia, tre anni dopo conseguì un master in zoologia. Con gli occhi di oggi non sembra niente di speciale, ma negli anni Trenta del secolo scorso questi erano traguardi di tutto rispetto per una giovane donna, che la società dell’epoca relegava a ben altri ruoli. E le difficoltà culturali non furono gli unici ostacoli che la biologa, oggi considerata a pieno titolo madre del movimento ambientalista, si trovò ad affrontare.
Tutta la sua vita fu in salita, lastricata di lutti, ricorrenti difficoltà finanziare e problemi causati da una sensibilità fuori dal comune e da una salute cagionevole. Ciononostante inanellò successi letterari e scientifici uno dopo l’altro, scardinando tra l’altro il pregiudizio che gli scienziati siano più avvezzi ai numeri che alle parole.

Subito in laboratorio. Dopo gli studi iniziò a destreggiarsi tra i microscopi dei laboratori e i volumi polverosi delle biblioteche, sempre focalizzata sui segreti della natura, protagonista indiscussa di molte ricerche sul campo, attiva nelle battaglie in cui credeva e prolifica di pubblicazioni che le fruttarono premi e riconoscimenti. Lavorò come biologa marina presso il Fish and Wildlife Service (il servizio ittico e faunistico degli Stati Uniti) dove ebbe l’incarico di redigere pubblicazioni naturalistiche.
Più di una generazione di lettori scoprì, tramite i suoi libri, la bellezza della natura e l’importanza di salvaguardarne l’equilibrio. «Col tempo divenne sempre più preoccupata dal fatto che la politica non facesse abbastanza per la tutela delle aree dedicate alla conservazione delle specie (floreali e non) nonché turbata dalla pressione economica e tecnologica esercitata dall’industria per trasformare il mondo naturale», spiega Linda Lear, storica dell’ambientalismo e biografa americana, autrice del libro Rachel Carson. Witness for Nature (Mariner Books). La sua produzione editoriale cresceva di pari passo con l’urgenza di denunciare e porre fine al maltrattamento del Pianeta.

Una denuncia per “curare il Pianeta”. Tra tutte le sue battaglie editoriali, quella che destò maggior scalpore fu il saggio Silent Spring, una feroce accusa nei confronti dell’utilizzo di metodi chimici dannosi per l’ambiente e per l’uomo. “Sembra che siamo stati travolti da una follia monomaniaca di distruggere, di uccidere, di sradicare dal nostro ambiente qualsiasi cosa che non ci piace”, affermava Carson. Dalla consapevolezza dello stravolgimento dei cicli naturali causati dall’utilizzo indiscriminato dei “biocidi”, nel 1962 nacquero le appassionate pagine del suo libro, frutto anche della proficua collaborazione con gli scienziati più autorevoli dell’epoca, accomunati non solo dalla ricerca scientifica ma anche dalla voglia di “curare” il mondo.
Il saggio raccolse numerosi consensi da parte dell’opinione pubblica, ma ebbe soprattutto il merito di attirare l’attenzione della classe politica sul valore della natura. Ovviamente l’industria chimica, finita sul banco degli imputati, reagì scagliandosi contro la scrittrice-scienziata, imbastendo contro di lei una campagna mediatica denigratoria che ci dà la misura del timore che questa “zitella senza figli” (con queste parole si espresse la lobby chimica) suscitava in coloro che erano chiamati in causa.

Presa di mira, ma ascoltata. «Molti critici furono sorpresi dalla grande campagna montata contro di lei: l’industria dei pesticidi spese ben oltre i 250mila dollari nello sforzo di persuadere il pubblico degli errori della Carson e proteggere i propri interessi ormai minacciati», afferma Lear. Nonostante le infinite discussioni, l’eco di Silent Spring fu talmente estesa da raggiungere un pubblico vastissimo; lei stessa parlò delle migliaia di lettere che le venivano recapitate da tutto il Paese. «Rispondendo a una domanda che un lettore le aveva posto (“Che cosa possiamo fare?”) Carson spiegò che era necessario fare ricerca per sviluppare metodi alternativi e stabilire delle priorità a livello nazionale», prosegue la biografa.
A causa del trambusto che il volume scatenò, nelle settimane successive alla sua pubblicazione il presidente degli Stati Uniti J.F. Kennedy nominò una commissione ad hoc per verificare la veridicità di quanto scritto da Carson. Il rapporto finale apparve il 15 maggio del 1963: era un atto d’accusa contro l’indifferenza burocratica e corporativa, nonché una conferma dell’allarme lanciato della scienziata sui rischi dei pesticidi. La relazione stabilì inoltre, in maniera inequivocabile, che era necessario iniziare a usare metodi biologici alternativi. Fu un vero successo. «La scienza, il governo e l’industria riconobbero Silent Spring per quello che di fatto era: una fondamentale critica sociale dell’intero progresso tecnico», spiega Lear. «Carson ebbe l’ardire di attaccare l’integrità di tutto l’establishment scientifico, la sua leadership morale e l’influenza che esercitava sull’intera società».

LA LOTTA CONTINUA. La battaglia di Rachel Carson non si fermò qui. Grazie all’attenzione che riuscì a conquistare, divenne portavoce della proposta di istituire un’agenzia super partes volta alla tutela dell’ambiente e libera da ogni controllo politico. Fu l’ennesima vittoria, ma anche l’ultima: non riuscì infatti a vedere il suo progetto realizzato perché, nel 1964, morì per un cancro al seno. Tre anni dopo venne creato l’Environment Defence Fund, con lo scopo di emanare un corpus di norme volte alla difesa del diritto dei cittadini di vivere in un ambiente incontaminato. Per molti Rachel Carson fu la fiamma che fece divampare il fuoco dell’ambientalismo.

Una “Greta” ante litteram. Tutto ciò che venne dopo nacque dalle sue idee: dal nuovo attivismo dei movimenti, cresciuto sino a divenire una delle più grandi forze popolari di tutti i tempi, alla consapevolezza dell’importanza dell’impegno dei governi nel contrastare l’inquinamento. La conseguenza più diretta delle sue denunce fu però la messa al bando, negli Usa nel 1972 (in Italia nel 1978) dell’insetticida Ddt (dicloro difeniltricloroetano). Al Gore, quando era vicepresidente degli Stati Uniti durante la presidenza Clinton, di lei disse: «Carson divenne la prova innegabile di quanto il potere di un’idea potesse essere di gran lunga più forte del potere dei politici».

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